Paolo Lorenzi risponde al telefono dalla Florida, dove si è stabilito con la moglie tre anni fa. È al campo che segue un amico che sta prendendo lezioni di tennis. Tra poco iniziano le partite in tv dell’US Open e le guarderà tutte. Proprio a New York Lorenzi ha disputato qualche giorno fa il suo ultimo match, ritirandosi dal tennis giocato. A quasi 40 anni, dopo una buonissima carriera tra i professionisti, che lo ha visto vincere un torneo Atp, esordire in Coppa Davis ed essere per un momento il numero uno in Italia (best ranking 33). Lorenzi ha onorato questo sport, come pochi altri, per più di vent’anni e la passione continua a bruciargli dentro. “Adoro il tennis, lo guardo e lo studio in continuazione sia in televisione che dal vivo. Sono sempre stato così da quando mio fratello più grande giocava e tifava Edberg ed io volevo emularlo, tifando però Becker. Non ero ancora 17enne quando ho iniziato a girare: satelliti, futures, tornei minori, challenger. La gavetta l’ho fatta tutta. Il sito dell’Atp segnala che sono professionista solo dal 2003, ma si è professionisti da quando si inizia a giocare, viaggiare per il mondo, prendere punti”.
Il tennis è stato un bel viaggio.
Incredibile, per me è stato un sogno ogni volta che scendevo in campo. Ora mi piacerebbe trasmettere, come coach, la passione per il mio lavoro. La Florida è un posto bellissimo per allenarsi e infatti Bollettieri ha la sua accademia a 20 minuti da Sarasota, casa mia. Non mi dispiacerebbe nemmeno proseguire l’esperienza che ho iniziato in tv, a commentare in studio i tornei in corso.
È stato un bel viaggio, non solo in senso metaforico.
Ho girato il mondo in lungo e in largo e imparato le lingue. Il Sudamerica è dove mi sono trovato meglio, la gente mi è entrata nel cuore. La prima volta che sono stato all’estero da solo è stato al Cairo. Fine anni Novanta, la Federazione italiana doveva mandare un fax con la lista degli atleti che non avevano ancora punti in classifica. Il documento non è mai arrivato e sono stato là una settimana senza giocare. Per telefonare andavo con i gettoni in mano dal mio albergo allo Sheraton, dove si poteva farlo. Allora internet si usava pochissimo. Tornato in Italia, sono partito per la Bulgaria dove ho guadagnato i primi punti in carriera. Ricordo anche i tornei in Costa D’Avorio. C’era in città una situazione di tensione, dall’hotel ci si poteva muovere solo a piedi verso il campo che era a due passi. Lì ho giocato due tornei di fila: vinto il primo, nel seguente mi sono fermato in semifinale.
È arrivato ad un buon successo in età matura per uno sportivo.
A 27 anni mi davano per finito, mi sono trasferito a Livorno con Claudio Galoppini e Stefano Giovannini. Ero convinto, anche con un po’ di incoscienza, che sarei arrivato ai top 100. Ho fatto di meglio. A Kitzbühel nel 2016 sono andato con il mio migliore amico Pietro Griccioli ed ho vinto il mio primo Atp a 35 anni. Venivo dalla sconfitta in doppio di Davis contro l’Argentina. Avrei potuto vincere anche a Quito, dove non ho sfruttato un match point. Ma va bene così, la maggior parte dei tennisti non arriva a questi risultati. Io il momento me lo sono goduto al meglio, dopo tutta la gavetta sono riuscito ad apprezzare tutto. L’esordio in Davis è stato speciale, al pari del torneo di Kitzbühel.
Federer, Nadal e Djokovic. Li ha incrociati più volte.
Sì, ho giocato con tutti i campioni del mio tempo. Con Federer ho perso a Wimbledon, a Nadal sono riuscito a prendere un set a Roma. Da tutti e tre ho cercato di imparare qualcosa. L’eleganza di Federer, l’atteggiamento in campo di Nadal, che infatti andavo sempre a vedere. Djokovic è la continuità, credo possa battere il record di Slam. Difficile dire chi sia il più forte. Io spero che l’US Open lo vinca Berrettini, ma Djokovic ha buonissime chance.
Sampras e Agassi?
I campioni della generazione precedente non li ho affrontati. Giocavano ancora, ma io allora ero troppo scarso per iscrivermi ai tornei ai quali partecipavano loro.
E ora che non gioca più c’è qualcosa a cui potrà dedicarsi con maggiore tranquillità?
Mi piace molto mangiare, scoprire ristoranti e piatti nuovi. Quando giochi, devi sempre stare a dieta. Pollo e riso, pollo e riso. Adesso vorrei apprezzare alcuni di quei posti dove bisogna prenotare per tempo e che nella fretta dei giorni tennistici mi erano preclusi.
Come vede il futuro del tennis italiano?
L’Italia in Davis credo sia la squadra da battere per i prossimi anni perché oltre a Berrettini, Sinner, Musetti, Fognini e Sonego ce ne sono di giovanissimi che stanno crescendo. È bello quando ci sono tanti italiani forti, perché poi è tutto il movimento a trarne beneficio. Penso che con Berrettini e Sinner arriveranno anche vittorie nei tornei del Grande Slam, senza dimenticare Musetti.