Con i referendum sulla giustizia “la Lega prende in giro i suoi elettori”. Il procuratore generale uscente di Palermo, Roberto Scarpinato, l’ex consigliere del Csm, Piercamillo Davigo e il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, alla Festa del Fatto Quotidiano hanno attaccato duramente il tentativo di Lega e Partito Radicale di riformare ulteriormente la giustizia italiana, attraverso i sei quesiti referendari che presto saranno valutati dalla Corte Costituzionale. Intervistati da Valeria Pacelli nel corso del dibattito “La giustizia al tempo dei migliori”, non sono mancate critiche alla riforma Cartabia, in virtù della quale i magistrati hanno parlato di “stagione delle mani libere alle porte” e “assalto finale del sistema” politico alla giustizia.
I REFERENDUM DI LEGA E RADICALI – Secondo Davigo, in particolare “le intenzioni” dei promotori dei quesiti referendari “sono le peggiori”. “Questi pensano che i cittadini siano dei cretini – ha affermato l’ex magistrato di Mani Pulite – La Lega per anni ha fatto una campagna sulla sicurezza” e “ora prende in giro i suoi elettori”. Se andasse in porto il referendum sui limiti alla custodia cautelare, ad esempio, “se uno viene a casa tua e la svaligia, il ladro lo possono arrestare ma poi lo devono rilasciare, perché non può restare in carcere”. Non solo. “La responsabilità diretta dei magistrati non c’è in nessun Paese al mondo. Chi sbaglia paga è uno slogan cretino”. Se passasse questo concetto, “potrebbero iniziare a crearsi rapporti non chiari con gli avvocati e vi sarebbero cause pretestuose, in via preventiva, per togliersi di mezzo un giudice scomodo”.
LA RIFORMA CARTABIA – Sulla riforma voluta dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, invece, Scarpinato ha parlato di “una forma di amnistia strisciante e permanente”, spiegando che “ogni anno il Parlamento, i cui componenti ridotti nel numero sono tutt’oggi nominati dall’establishment, deve stabilire la priorità nei processi, quali si devono celebrare e quali no”. Un “assalto finale” iniziato con la Seconda Repubblica, quando “tutta la classe dirigente ha dovuto mettere in moto due distinte manovre”. “La prima – ha detto Scarpinato – è stata la depenalizzazione selettiva dei reati della classe dirigente. Sono state abbassate le pene e ridotti i termini della prescrizione”. “La seconda”, ha aggiunto, “è il tentativo continuo di sottoporre i pubblici ministeri al controllo politico”. “Se è vera – dice Scarpinato – la stima dell’Unione europea sul fatto che la corruzione in Italia vale 60 miliardi l’anno, vuol dire che il 30-40% dei fondi europei finirà nel buco nero dei fondi criminali”.
LA CRISI DELLA MAGISTRATURA E IL CASO PALAMARA – Oltre agli “attacchi della politica”, negli ultimi due anni la magistratura ha dovuto affrontare anche la crisi culminata con l’indagine per corruzione ai danni dell’ex magistrato romano Luca Palamara, già membro del Csm, che secondo quanto emerso sarebbe stato protagonista di una “guerra tra correnti” che ha condizionato le nomine nelle principale procure italiane. “Palamara non votava da solo – ha affermato Nicola Gratteri – e non poteva da solo condizionare tutte le nomine che si sono avute”. Il magistrato calabrese avanza una proposta: “Penso che si debba agire a monte, modificando il Consiglio superiore della magistratura introducendo il sistema del sorteggio”, anche a costo “di cambiare la Costituzione, se necessario”. “È la madre di tutte le riforme”, ha aggiunto Gratteri.