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Matrimonio riparatore: noi non siamo vittime ma sopravvissute

Matrimonio riparatore: noi non siamo vittime ma sopravvissute
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Il 5 settembre 1981 furono cancellati dal nostro codice penale il delitto d’onore e il matrimonio riparatore. Entrambi erano parte di quell’avvilente cumulo di misoginia contenuta nel mai troppo rinnovato codice Rocco di origine fascista.

Era il tempo in cui se ammazzavi tua moglie, la tua ex, tua sorella, tua figlia, tua madre, potevi dire che ella aveva in qualche modo violato l’onore del patriarca di turno e dunque andavi a spasso assolto da ogni accusa. Era anche il tempo in cui se stupravi qualcuna poi potevi cavartela con il matrimonio riparatore e tutto era finito. La riparazione consisteva nella presa in carico di un oggetto rotto: così veniva considerata una donna non più vergine.

Ricordo che per lungo tempo ancora, fino al 1996, in ogni caso lo stupro fu considerato reato contro la morale e non contro la persona. Dunque di fatto la questione, pur se con qualche modifica, rimase a lungo fin troppo aperta. Ma grazie a Franca Viola che si oppose al suo stupratore, non acconsentendo mai al matrimonio riparatore, si aprì la strada per un processo per stupro.

I processi per stupro, dal 1981 in poi, non sono comunque mai stati facili per le vittime. Se prima gli stupratori potevano cavarsela “riparando” con nozze cui lei non aveva acconsentito, in seguito il calvario delle vittime continuò obbligandole a subire processi su abitudini sessuali, su misure della penetrazione, su presunti mancati coiti, su abbigliamento provocante e tutto il necessario per far apparire lui, come sempre, innocente. Nel mondo reale inoltre la mentalità dell’onore infranto da riparare con femminicidio o matrimonio non è mai del tutto stata archiviata.

E dopo questa premessa vi racconto quello che è successo a me che sono cresciuta ben oltre il 1981. In Sicilia c’era la brutta abitudine di riparare le fuitine con i matrimoni. La fuitina poteva essere un espediente per mettere d’accordo famiglie che non consentivano a legami d’amore o poteva solo essere una idiozia messa in giro per tutelare l’onore di quelle stesse famiglie nel caso in cui una relazione generasse un bebè inatteso.

Io rimasi incinta giovanissima e come da copione mio padre mi cacciò fuori casa. Questo diventò “fuitina” anche se io non ero fuggita da un bel niente. Così i parenti decisero di convivenze e nozze per le quali non eravamo pronti, tanto entusiasti di poter preparare corredi e confetti da passar sopra il fatto che il mio ex mi massacrava di legnate e mi aveva spedito un paio di volte in ospedale per minaccia d’aborto per le legnate in pancia.

Dissi chiaramente che non mi volevo sposare ma mia madre si espresse al riguardo: “Meglio divorziata che ragazza madre”. E fu così che con il pancione attraversai la navata di una chiesa che avevo a malapena frequentato prima di allora, per poi separarmi in fin di vita pochi mesi dopo la nascita della prole con la trachea massacrata per uno strangolamento, lesioni varie, ossa spezzate, traumi vari ed eventuali.

Quello fu il prezzo che dovetti pagare per la libertà, per così dire, senza dimenticare il fatto che in cuor loro i miei pensavano di aver fatto il proprio dovere e ad onor del vero si comportarono da ottimi genitori e nonni assistendo me e la mia prole da lì in avanti.

Il punto è che la cultura si è di certo evoluta ma è accaduto sempre e solo sulla nostra pelle. Ogni nostra ferita ha risparmiato un livido a chi sarebbe venuta dopo. Le ragazze potranno più o meno essere inclementi con chi le ha precedute; potranno anche pensare che la libertà di poter dire di no, di poter nominare molestie, stupri, maltrattamenti e percosse sia venuta dal niente. Ma nulla è mai stato gratis e quello che molte donne hanno vissuto sulla propria pelle ha tracciato una strada fatta di lacrime e sangue.

E no, non siamo vittime ma sopravvissute, siamo combattenti di una resistenza che ci ha stremate, ci ha massacrate ma non ci ha mai costretto a vergognarci di quello che abbiamo dovuto fare per poter anche solo poter pronunciare la parola libertà.

A tutte le partigiane di una lotta che mai finisce mando un grande abbraccio. Facciamo tesoro delle lotte delle donne perché ogni battaglia vinta è un po’ di ossigeno in più per quelle che verranno dopo.

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