VENEZIA – “A Zaia non basta la maggioranza bulgara, vuole il califfato”. Parola di Cristina Guarda, consigliera regionale in Veneto di Europa Verde. “Daremo battaglia, introdurre il voto di fiducia non sta né in cielo né in terra”, gli fa eco Giacomo Possamai, capogruppo del Pd. “Stanno spolpando il consiglio regionale per dare più potere alla giunta, ma mi pare che non ne avrebbero neanche bisogno”, spiega Arturo Lorenzoni, portavoce delle minoranze nell’assemblea veneta che è sempre più in mano al governatore leghista. Le reazioni sono solo l’avvisaglia della battaglia che si profila se il partito di Zaia intenderà portare fino in fondo un’iniziativa di riforma dello Statuto che prevede l’introduzione dell’istituto della questione di fiducia. Ovvero, la possibilità per la giunta di apporre la fiducia (come accade nel Parlamento nazionale) sul voto in aula “sulla legge di bilancio annuale e pluriennale, sugli atti ad essa collegati, sulle leggi relative a alal istituzione di tributi ed imposte regionale…”. Ma non basta, l’istituto potrebbe riguardare “ogni altra materia particolarmente rilevante per la collettività regionale”, nonché “emendamenti ad articoli dei progetti di legge”.
La proposta porta la firma di tre dei leghisti più influenti del consiglio regionale, Alberto Villanova capogruppo della “Lista Zaia”, Roberto Ciambetti presidente del consiglio regionale e Giuseppe Pan, capogruppo di Liga Veneta per Salvini Premier. Finora nello Statuto è prevista soltanto la “mozione di sfiducia motivata” nei confronti del presidente della giunta. I leghisti vogliono anche la facoltà per il presidente di chiedere la fiducia. La relazione che accompagna la proposta peraltro non ne spiega le ragioni, salvo affermare che ciò “risulta in qualche modo connaturale alla forma di governo basata sulla elezione diretta dello stesso Presidente”. La Lega ci aveva provato anche nella precedente legislatura, ma l’iter (che prevede due votazioni a distanza di un paio di mesi) si era poi bloccato a causa della levata di scudi delle minoranze, che allora erano numericamente più consistenti di quanto non lo siano oggi, visto che Zaia ha vinto con 76 percento dei consensi e ha saldamente in mano la maggioranza del consiglio.
Che bisogno ha Zaia di usare la fiducia come arma in aula per far approvare una legge? Nessuno, stando al pallottoliere dei seggi. Di sicuro l’effetto sarebbe quello di ridurre il dibattito in aula sulle questioni più spinose e rintuzzare qualche alzata di testa degli alleati di governo. Infatti, la consigliera Guarda rincara: “E’ una maggioranza che ha paura di sé stessa e questo provvedimento puzza da anti-Fratelli d’Italia. Esiste una sostanziale differenza tra governare e comandare. Il rispetto per le istituzioni e per i cittadini che ci hanno eletti implica la salvaguardia politica ed etica del ruolo delle opposizioni, trasformare l’aula consiliare in un club riservato a yes-man svilisce quel mandato che i cittadini ci hanno democraticamente attribuito”. E chiede: “Una maggioranza che conta 42 dei 51 consiglieri eletti di cosa ha paura? Zaia teme che qualche partito di maggioranza si senta titolato di pensiero proprio? Il Consiglio è l’organo di rappresentanza democratica del popolo veneto, non del doge di turno. Modificare lo Statuto veneto per beghe interne alla maggioranza o per deliri di onnipotenza di qualcuno, non è ammissibile”.
Per tutta la legislatura Zaia potrà governare senza temere nulla. Al massimo le minoranze possono fargli il solletico in qualche occasione. “Per noi è un fulmine a ciel sereno, ma è evidente che reagiremo” commenta il dem Possamai. E il professore Arturo Lorenzoni aggiunge: “Questo è il caso più clamoroso, ma in diverse occasioni abbiamo assistito al tentativo di saltare il passaggio in aula. Ad esempio le commissioni vorrebbero votare norme che, dietro la giustificazione di voler semplificare il proprio lavoro, puntano a togliere potere al consiglio regionale per darlo alla giunta. Si tratta di una impostazione monocratica che dà fastidio anche ai Fratelli d’Italia”.