Un accostamento forte, nell’Afghanistan dei Talebani senza più musica e poesia. Per contrasto, emergono i contorni: affiancando Beatrice e le donne afghane, si scorge qualcosa del perché i Talebani odiano le donne, cancellano i loro volti dai manifesti, non pronunciano i loro nomi e le fanno scomparire sotto il blu di un chadari.
Dante, il Sommo Poeta dell’Occidente, non era un ingenuo della raffinata e crudele geopolitica, che è anche economia, finanza e antropologia: l’Inferno dantesco offre uno spaccato di realtà storica e politica, che in sette secoli di eternità ad oggi non pare molto cambiata. E questo Dante pone a intercedere per lui, a proteggere il viaggio impossibile oltre la morte, la sua Beatrice, Donna angelicata, che nella Commedia fa parte di una trinità femminile, con Lucia e Maria, la Madonna, che è l’esito cristiano del Femminino Sacro, dei simboli della Dea, Astarte, Ishtar, Iside, le quali, guarda caso, affondano le radici proprio in quel Medio Oriente che oggi le donne le odia.
Che si tratti solo di un mero artificio poetico? Di un sogno romantico? Forse non si considera che Dante apparteneva ai Fedeli d’Amore per i quali in senso filosofico, per dirla in breve e mi si perdoni la semplificazione, l’amore era la meta, il femminile il ponte; l’unione sacra tra maschile e femminile il mezzo. E quel filone, sotterraneo, trasversale, fluiva da secoli, e per i secoli sarebbe proseguito. E i Talebani? Mi affido alle parole di chi quel mondo lo conosce di certo meglio della sottoscritta: le donne.
A cominciare dal grido di studentesse e giornaliste costrette a bruciare i diplomi e “cancellare in pochi minuti la propria vita” (The Guardian), per arrivare all’impotenza di Soraya Malek, figlia dell’ultimo sovrano afghano illuminato, nell’intervista a True News, quando narra di come il vigore del maschilismo talebano affondi le radici nelle scuole coraniche in cui negli anni Ottanta i ragazzini accorrevano non per adesione ideologica ma per una ciotola di minestra, poco importava se con retrogusto di odio sessista.
Segue l’amarezza di Natalia Aspesi, che sulla Repubblica si domanda perché nelle terribili immagini della fuga disperata dall’aeroporto di Kabul si vedano quasi solo uomini e perché quegli uomini terrorizzati, mariti, padri o quantomeno figli, le loro donne non le abbiano aiutate a fuggire con loro. E se ci si sente costretti a dire che Oriana Fallaci aveva predetto tutto, cedendo al cinismo impotente, non si può certo essere biasimati, mentre i campi di oppio afghani prosperano e le donne non sposate, kaniz, merce, si avviano a diventare qhanimat, schiave sessuali di un bottino di guerra.
Nel libro Mille giorni d’oro, in un paragrafo dal titolo “Dal mito alla storia: usare violenza per controllare Eros”, descrivo una dinamica che pare all’opera nella repressione talebana del femminile, e che ho ritrovato anche in un recente articolo di Massimo Recalcati sul tema. La donna, portatrice di bellezza e di eros, è portatrice di libertà e una donna libera – lo insegna Antigone e lo ripete Lou Andreas Salomè – è una donna che anteporrà le leggi dell’amore a qualsiasi altra legge, e questo la rende sovversiva, fonte di corruzione per un potere non solo rigidamente maschilista ma sessuofobico perché di fatto dittatoriale.
La donna conosce i segreti della natura, conosce il mistero della mancanza e della pienezza come nessun altro e questo separa i fronti del maschile: il maschile o ama le donne e il loro primordiale mistero e vede il loro diventare madri come espressione sacra, o odia le donne e vede il loro diventare madri come espressione della loro utilitaristica inferiorità.
Da un lato Dante e Beatrice, dall’altro una delle raffigurazioni dei Talebani neri, alle spalle della donna con cuore e tastiera colorati, di Shamsia Hassani… la triste differenza è evidente. Dante commentato da Jung, da Assagioli, da Adriana Mazzarella esprime universalmente il concetto della necessità di congiunzione di Animus e Anima, attraverso l’incontro con la Donna reale che quell’Anima incarna. Il mondo ha estremo bisogno di questa attitudine misericordiosa, inclusiva, libera e armonica che il femminile porta, ha bisogno della forza unita e unificante delle donne, le uniche che possono e devono “danzare nella moschea” come ha scritto Homeira Qadery.
L’immagine che ha fatto il giro del mondo di quella bambina, femmina, che salta di gioia dietro al passo affrettato e preoccupato di madre, padre, fratellino, mostra che per quanti orrori possa aver vissuto, la gioia luminosa di una bambina, donna del futuro, è insopprimibile.