di Leonardo Corbo

Quando stai in mezzo alle persone (con le dovute precauzioni), le ascolti, le parli, ti accorgi che il polso della situazione ce l’hanno chiaro molto più di te. Difatti non credono alla frase fatta, detta da alcuni a denti stretti e da altri più apertamente: “questo è il mio governo”. Sicuramente il periodo storico che stiamo vivendo, il “Conticidio” (cit.) e la chiamata all’unità nazionale del Presidente della Repubblica hanno posto le basi per un governo a maggioranza bulgara. Ma una delle domande che ho sentito maggiormente è stata: fin quando durerà la pax draghiana?

La Lega vota in Commissione Affari sociali per sopprimere l’obbligo del green pass. Sul Reddito di cittadinanza ci sono posizione totalmente opposte. Matteo Salvini e Matteo Renzi, che si somigliano sempre più, lo vogliono abolire mentre c’è il Movimento 5 stelle (e non solo) che lo difende. Perciò, è naturale domandarsi cosa deciderà di fare, nel suo insieme, il governo Draghi. Così com’è naturale chiedersi: se Draghi si esprime a favore di una parte, e mettiamo il caso che capiti più volti nei confronti della stessa parte politica, i partiti che subiscono la decisione continueranno a sostenere il governo?

Il governo Draghi non è il governo di questo o quel partito. Né del “campo progressista” (cit.) né della destra. Detto ciò, non si deve cadere nell’errore di credere che questo governo, nell’esercizio delle sue funzioni, non operi scelte politiche. Lo sblocca licenziamenti è una scelta politica. Un’operazione scellerata, ma comunque una decisione politica. Introdurre o meno il salario minimo, insieme ai sindacati (aggiungo), è una scelta politica. E sarebbe opportuno coinvolgere i sindacati poiché non deve essere una norma sostitutiva dei contratti collettivi, che per fortuna esistono, ma – talvolta – accade che laddove ci sono vengono aggirati e non conferiscono un salario dignitoso ai lavoratori. Introdurre una legge sulla parità salariale è una scelta politica. Soprattutto perché è intollerabile che in un paese civile a parità di mansioni un uomo percepisca uno stipendio maggiore rispetto ad una donna.

Tuttavia è e sarà nelle leggi approvate che si potrà definire se si tratti di un governo liberista o socialista. Risiederà nella bravura delle forze politiche influire nel Consiglio dei ministri, mostrando la loro forza in virtù dei voti ottenuti alle elezioni del 2018. Portare a compimento i due esempi sopracitati sposterebbero l’asse del governo decisamente a sinistra, nel quadro del famoso “campo progressista”. E, se i partiti non sono spariti e non decide solo e tutto il Migliore come alcuni insigni editorialisti scrivono, Movimento 5 stelle, PD e Leu sono in grado di imporre nell’agenda di governo alcuni punti previsti nel Conte 2? Oppure debbono solo portare i voti o tamponare qualche obbrobrio (come ha fatto intendere Di Maio alla Festa del Fatto)?

La credibilità dei partiti sarà valutata anche, e – forse – soprattutto, dal modo in cui conteranno, peseranno, le proposte portate in seno al Consiglio dei Ministri. Allo stesso modo: l’unione, la comunione di intenti e di visioni tra le forze dell’ex governo giallorosa ci faranno capire a che punto del percorso siano arrivati. E, a detta di Pier Luigi Bersani, sono in ritardo. Si può dargli torto? Pare proprio di no.

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