di Lorenzo Giannotti
Si è ritirato dal calcio giocato un attaccante sui generis, combattente della fanteria del reparto offensivo, cultore e attore indomabile dello scontro fisico e della dedizione alla macina di chilometri. Lo si riconosceva in campo per lo sguardo corrucciato e severo di un papà arrabbiato. Ma anche il cuore era quello di un padre. Lascia con una missiva indirizzata al piccolo sé, al giovane Mario Mandzukic. Un piccolo croato – che crescerà fino a diventare alto quasi due metri – nato a Slavonski Brod nel 1986, città di fiume nella regione della Slavonia.
“Caro piccolo Mario, mentre indossi queste scarpe per la prima volta, non puoi nemmeno immaginare cosa vivrai nel calcio. Segnerai gol nelle fasi più importanti e vincerai i più grandi trofei con i più grandi club. Rappresentando con orgoglio la tua nazione, contribuirai a scrivere la storia dello sport croato.” E inizia da subito, Mario, a vincere e lottare: tre campionati e due coppe nazionali tra il 2007 e il 2010 con la Dinamo Zagabria. Poi la Germania – dove aveva vissuto con la famiglia dai sei ai dieci anni per scappare dalle bombe della guerra d’indipendenza croata –, prima a Wolfsburg, quindi a Monaco di Baviera, dove mette in bacheca due coppe e una supercoppa di Germania, due campionati e, soprattutto, una Champions con gol nella finale tutta tedesca contro il Dortmund, prima della rete decisiva di Robben.
Dopo l’avventura tedesca scende giù nella geografia europea fino ad approdare a Madrid, dove con l’Atletico gioca una sola stagione segnando 12 gol e vincendo una supercoppa di Spagna. “Avrai successo perché avrai intorno a te brave persone: compagni di squadra, allenatori, tifosi e familiari, agenti e amici che saranno sempre lì per te. Sarai per sempre grato a tutti loro! Soprattutto, avrai successo perché darai sempre il massimo. Alla fine, questo è ciò di cui sarai più orgoglioso. Ti sacrificherai molto, ma saprai che ne è valsa la pena a causa di tutti i momenti incredibili”.
E alla Juventus Mario si sacrifica come mai prima nella propria carriera, prendendosi quattro scudetti, tre coppe Italia, due supercoppe nazionali, l’amore di una piazza e quello di un allenatore, Max Allegri, che lo issa a personale prototipo di giocatore perfetto: “Non toccatemi Mario, è un giocatore insostituibile”. Dopo Torino fatica Mario, va in Qatar e successivamente torna in Italia, al Milan, ormai avviato al traguardo di una carriera vincente sempre vissuta nel solco del sacrificio e dell’abnegazione.
“Riconoscerai il momento di ritirarti, di mettere questi stivali in un armadio e non avrai rimpianti. Il calcio farà sempre parte della tua vita, ma non vedrai l’ora che arrivi un nuovo capitolo. Divertiti! Il tuo grande Mario.” Con la nazionale croata arriva alla finale di coppa del mondo del 2018 e segna 33 reti, una delle quali è ricordata nel post scriptum della lettera di addio di Mister no Good: “P.S. Se ti capita di giocare contro l’Inghilterra nella Coppa del Mondo, tieniti pronto intorno al 109′ minuto”.
L’addio al calcio di un accigliato artigliere d’attacco che da bambino scappava dalla bombe.