Il controllo sulla correttezza della manutenzione “avrebbe evitato” la strage di Viareggio perché “sarebbe emersa l’assenza della documentazione inerente la storia manutentiva del carro e dei suoi componenti e quindi esso sarebbe stato escluso dalla circolazione”, ma non ci fu “rischio lavorativo” e quindi l’obbligo per le società di valutare i rischi “non assume rilievo causale”. Non hanno dubbi i giudici della Cassazione, che hanno depositato le motivazioni sulla sentenza dello scorso 8 gennaio relativa all’incidente avvenuto la notte del 29 giugno 2009 e costata la vita a 32 persone. La carrozza cisterna con un carico di gpl deragliò a seguito della rottura dell’assile. Nella ricostruzione dell’accusa poi un picchetto a fianco della rotaia tranciò la cisterna, con fuoriuscita del gas che incendiandosi causò 32 morti. I supremi giudici hanno dichiarato prescritti gli omicidi colposi, facendo cadere l’aggravante del mancato rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro, e stabilendo un nuovo processo di appello per disastro colposo nei confronti degli ex vertici delle ferrovie, tra cui Mauro Moretti, ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana ed ex ad di Ferrovie dello Stato, e Michele Mario Elia, ex ad Rfi. In appello Moretti era stato condannato a 7 anni di reclusione, mentre a Elia vennero inflitti 6 anni.
Sul punto dell’aggravante caduta, causa della prescrizione, gli ermellini scrivono: “Non vi è dubbio che il datore di lavoro dell’impresa ferroviaria sia tenuto alla valutazione di tutti i rischi derivanti dall’esercizio delle attività di impresa e quindi anche dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori derivanti dalla circolazione di carri dei quali non cura direttamente la manutenzione, destinati al trasporto delle merci pericolose”. Ma, aggiungono i giudici, “va escluso che i tragici eventi occorsi a Viareggio abbiano concretizzato un rischio lavorativo, di talché l’eventuale inosservanza dell’obbligo datoriale della valutazione dei rischi non assume rilievo causale”.
Eppure i commenti della Cassazione alla decisione sono incontrovertibili e confermano la bontà del giudizio di merito del secondo grado di giudizio su tutto il resto della ricostruzione: “Risulta incensurabile l’affermazione della Corte di appello la quale il controllo sulla correttezza della manutenzione avrebbe evitato il sinistro perché sarebbe emersa l’assenza della documentazione inerente la storia manutentiva del carro e dei suoi componenti e quindi esso sarebbe stato escluso dalla circolazione”, si legge nelle motivazioni. “Il ruolo dell’impresa ferroviaria – scrivono ancora i giudici – è tutt’altro che passivo. Gli sono attribuiti diritti di controllo dello stato del carro”.
Insomma, la Corte di appello ha “del tutto ragionevolmente escluso che tali controlli potessero in concreto spingersi al punto di smontare componenti del carro e quindi anche le sale montate, ma altrettanto ragionevolmente ed anzi in coerenza con le previsioni anche qui evocate, ha ritenuto che il controllo potesse essere documentale”. In presenza della “condizione di allarme determinato dalle conoscenze in ordine ai rischi di rottura degli assili per i vizi della manutenzione tale potere si accompagnava al dovere cautelare”.
Non si tratta del solo passaggio in cui la Cassazione avvalora la ricostruzione dei giudici di secondo grado: “La Corte di appello – scrivono – ha posto in evidenza che sin da prima del verificarsi del sinistro di Viareggio tutti gli operatori del settore ferroviario erano a conoscenza del fatto che una manutenzione non eseguita a regola d’arte era stata all’origine di alcuni incidenti ferroviari, provocati dalla rottura per fatica di sale sulle quali si erano insediati – e non erano stati eliminati – corrosioni e/o danneggiamenti”.
Un passaggio delle motivazioni è dedicato anche alla figura di Mauro Moretti e alla sua implicazione nel processo anche come ex amministratore delegato di Rfi: “Pur dopo la cessazione della carica in Rfi spa, aveva avuto ‘forti poteri di controllo e di indirizzo sulle società collegate, tra cui la stessa Rfì e quindi aveva mantenuto un potere di influenza, senza però che il mancato esercizio di esso sia stato posto a base del giudizio di responsabilità di Moretti quale ad di Rfi spa”, scrivono, citando anche la Corte di appello, i giudici della Quarta sezione penale. E aggiungono: “Una volta ritenuto che Moretti abbia instaurato o anche solo mantenuto quella prassi interpretativa che ha raccolto le censure dei giudici di merito non è manifestamente illogico né in contrasto con la disciplina legale ritenere che tale condotta abbia spiegato effetto su un evento determinatori in un tempo in cui l’incarico era cessato”, sottolineano gli ‘ermellini’.