La vicenda Alitalia sta superando i limiti dell’assurdo. Ho sempre detto che Alitalia andava nazionalizzata e che a questo fine dovevano essere utilizzati i tre miliardi stanziati dal governo Conte per la nascita della compagnia Ita.

L’errore è stato trasformare in S.p.A. Alitalia nel 2008 e istituire la nuova compagnia Ita, non come un’azienda di Stato, ma come una S.p.A. L’attuale ordinamento dell’Unione europea non vieta le nazionalizzazioni, anzi durante la pandemia molti sono stati gli Stati europei che hanno nazionalizzato imprese private, soprattutto nel settore aereo e dei servizi pubblici essenziali. Per quanto poi riguarda gli aiuti di Stato, la Commissione europea nulla ha detto contro contro l’acquisto dello Stato tedesco di quote azionarie di Lufthansa per un valore di 9 miliardi di euro.

È da sottolineare, peraltro, che, secondo la teoria dei contro limiti della giurisprudenza costituzionale, le norme e i principi fondamentali della nostra Costituzione prevalgono comunque sulle norme e i Trattati europei. Esiste, infatti, un principio imperativo espresso dall’articolo 41 della Costituzione, secondo il quale: “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Dunque, quando si parla di concorrenza, di discontinuità e di aiuti di Stato, bisogna sempre tener presente questo invalicabile principio fondamentale della nostra Costituzione.

Allo Stato attuale la trattativa tra sindacati, Alitalia, Ita, governo italiano e Unione europea si è impantanata, perché la commissaria alla concorrenza Vestager, che ha sempre chiuso gli occhi quando si parlava di Francia, Germania o altri potentati europei, si è intromessa nella vicenda Alitalia con un atteggiamento che rivela il fine di tutelare gli Stati membri forti ai danni dell’Italia, che è uno Stato economicamente più debole.

A ciò è da aggiungere l’atteggiamento servile del nostro governo, il quale si è piegato ai voleri della Vestager in modo estremamente dannoso per gli italiani e per i dipendenti di Alitalia. Esso infatti ha ridotto i tre miliardi previsti dal governo Conte per la costituzione di Ita a un miliardo e trecento milioni, ha accettato di vendere con bando pubblico europeo il marchio Alitalia (il che significa che potrebbero viaggiare con il nostro nome anche altri Paesi che nulla hanno a che vedere con l’Italia) e ha accettato anche che gli slot aeroportuali non trasferiti a Ita siano restituiti all’amministrazione straordinaria e quindi messi in vendita.

Insomma il governo, anziché creare una compagnia competitiva sul piano internazionale, come aveva dichiarato il governo Conte, sta tentando di creare una piccola compagnia, appetibile sul mercato, e acquisibile in un sol boccone da compagnie aeree molto forti come Lufthansa o Air France.

Apprendo da un comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri che in data 2 settembre il nostro governo ha compiuto un altro, e forse definitivo, misfatto contro la nostra economia nazionale: esso infatti ha modificando l’articolo 11 quater del decreto legge 25 marzo 2021 numero 73, convertito nella legge 23 luglio 2021 numero 106, che prevedeva il trasferimento a Ita da parte di Alitalia dei “complessi aziendali” individuati nel piano industriale, stabilendo che l’espressione “complessi aziendali” (che comprende tutti i rapporti giuridici e quindi anche i contratti di lavoro dei dipendenti dell’azienda), è sostituita dall’espressione: “cessione totale o parziale dei compendi aziendali del ramo aviazione”, il che significa che Ita è tenuta a acquistare da Alitalia non i rami d’azienda, che costituiscono un complesso di rapporti e contengono quindi anche i contratti di lavoro, ma singoli beni, gettando così definitivamente sul lastrico persino la minima quota di 2800 lavoratori che avrebbero dovuto passare da Alitalia a Ita.

Ciò in onore del principio della discontinuità, tanto caro alla commissaria Vestager e tanto dannoso per i nostri lavoratori e per l’economia italiana in genere.

Preciso che, ai sensi dell’articolo 47 della vigente legge numero 428 del 1990, il trasferimento di azienda o di rami d’azienda è sottoposto a precise norme di garanzia per i lavoratori, la cui tutela è affidata ai sindacati aziendali o ai sindacati di categoria ai fini di un accordo, il cui mancato raggiungimento entro 10 giorni dall’inizio della consultazione si considera esaurito. Con la conseguenza, si deve ritenere, dell’applicazione del rinnovato articolo 2112 del Codice civile, il quale prevede che in caso di trasferimento di azienda il rapporto di lavoro continua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

Il decreto legge del 2 settembre 2021, non ancora apparso in Gazzetta ufficiale, con un gioco di parole impedisce l’applicazione del citato articolo 47 della legge numero 428 del 1990 e, agendo a favore degli Stati forti dell’Europa e contro l’Italia, qualifica con un arzigogolo giuridico una reale cessione d’azienda come vendita di singoli beni.

A questo punto non mi resta che rivolgere una pressante preghiera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di non firmare questo provvedimento, poiché esso costituisce l’ultimo dei misfatti operati dai governi italiani contro l’economia italiana e a favore di quella degli Stati forti dell’Europa, Mattarella deve far osservare la Costituzione e sa bene che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, la cui sovranità appartiene al popolo (e non può essere violata da norme di accordi internazionali), mentre il lavoro, ai sensi dell’articolo 4 della Costituzione, è diritto fondamentale e inviolabile di ogni cittadino italiano.

Sono certo che Sergio Mattarella, che, oltre a essere un fine giurista ha un’anima ispirata a un grande senso di onestà, non firmerà questo obbrobrio giuridico e farà trionfare in questo caso, direi conclusivo ed eclatante del disfacimento economico della Repubblica, gli interessi del popolo italiano.

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