Claudio Lotito resiste. Aggrappato alla sua poltrona di consigliere federale, conquistata nonostante la regola sul limite dei mandati (già superato), difesa anche contro lo scandalo dei “tamponi falsi” della Lazio. Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, suo acerrimo nemico, non vede l’ora di liberarsene, ma proprio non ci riesce: la squalifica di 12 mesi sembrava dovergli costare il posto e invece il Collegio di garanzia del Coni ha accolto (parzialmente) il suo ricorso. La Federcalcio dovrà “rivalutare” la pena e difficilmente potrà comminargliene una tale da farlo decadere.

La vicenda risale allo scorso campionato, anzi in realtà ormai a quasi un anno fa. Era novembre 2020 e a cavallo tra la sfida di campionato col Torino e quella di Champions con lo Zenit, alcuni giocatori biancocelesti (fra cui il bomber Ciro Immobile) finirono al centro della cronaca per dei tamponi “ballerini”: negativi in Italia, positivi in Europa, anche perché esaminati da laboratori diversi, Synlab scelto dalla Uefa, Futura Diagnostica di Massimiliano Taccone, figlio di Walter ex presidente dell’Avellino, storicamente vicino a Lotito, scelto dalla Lazio. La procura della Federcalcio aveva aperto un’inchiesta per violazione dei protocolli anticovid, contestando in particolare la mancata comunicazione alla Asl da parte della società e il poco tempestivo intervento sull’isolamento dei giocatori coinvolti, sostenendo la responsabilità dei medici e anche del presidente del club. In primo grado i giudici gli avevano dato “solo” 7 mesi di inibizione, poi però portati a 12 in appello. Ora l’ennesimo colpo di scena. Il Collegio di garanzia, che è un po’ la Cassazione dello sport, ha respinto il primo punto del ricorso con cui la Lazio sosteneva la mancanza di legittimità di tutto il protocollo anti-Covid della Figc, ma ha accolto parzialmente gli altri. La difesa laziale dovrebbe quindi aver fatto breccia sulla mancata responsabilità diretta del presidente, anche se in assenza delle motivazioni è ancora presto per capire quanto e perché. Quel che è certo è che i giudici del Coni hanno rispedito al mittente la sentenza: la Corte d’appello federale dovrà riscriverla sulla base di queste ultime osservazioni. La condanna quindi resta, ma difficilmente potrà rimanere così pesante.

La questione non è di poco conto perché su questa partita si gioca buona parte della carriera politica presente (e anche futura) di Lotito. In base alle norme, chi ha maturato più di 12 mesi di squalifica negli ultimi 10 anni non può ricoprire cariche in Federazione; Lotito ne ha pendenti tre e mezzo accumulati fra il 2011 e il 2012: per lui, dunque, ricevere una pena di 7 o 12 mesi fa tutta la differenza del mondo. E anche per il n. 1 della Figc, Gabriele Gravina, suo acerrimo nemico. I due sono perennemente in conflitto (vedi anche il caso Salernitana), Lotito è rimasto praticamente l’unica voce di dissenso in consiglio federale dove Gravina ha una maggioranza bulgara (ed è stato ulteriormente rinforzato dal trionfo della nazionale agli Europei). Lotito è una spina nel fianco di cui si libererebbe volentieri e lo scandalo dei tamponi sembrava l’occasione giusta: non a caso nell’udienza decisiva la Figc ha schierato Giancarlo Viglione, avvocato ma anche consigliere, braccio destro di Gravina e vero uomo ombra della Federazione. Ma ancora una volta i giudici del Coni hanno ridimensionato pesantemente il lavoro degli organi di giustizia della Figc, come spesso accade. La squalifica non è in discussione, ma sarà ridotta. Inoltre, bisognerà attendere le motivazioni e per la nuova sentenza metà dei carichi pendenti di Lotito saranno scaduti: la Figc non si arrenderà, ma per estrometterlo dovrà confermargli una pena di quasi 11 mesi, forse troppi considerando il ricorso appena vinto. La decadenza al momento non è nemmeno scattata, visto che la sentenza non è definitiva. La squalifica, se sarà riportata a 7 mesi, scadrà a ottobre. Lotito sta per tornare. Ma in realtà non se n’era mai andato.

Twitter: @lVendemiale

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