Cinema

Venezia 78, Freaks Out di Mainetti è una imponente, coraggiosa, delicatissima scommessa. Che farà evolvere il cinema italiano

Pronto dal 2020 dopo una postproduzione di quasi due anni (e tre società a lavorarci), 12 settimane di riprese datate oramai 2018, eccolo in Concorso. Nel cast Giorgio Tirabassi, Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Gianni Parisi, Aurora Giovinazzo e Frank Rogowski

“Finalmente a casa i miei fantastici 4”. Freaks Out di Gabriele Mainetti è arrivato. Pronto dal 2020 dopo una postproduzione di quasi due anni (e tre società a lavorarci), 12 settimane di riprese datate oramai 2018, eccolo in Concorso a Venezia 78. Intanto, Freaks Out è un cinema proveniente da un altro pianeta rispetto alle ideuzze creative di messa in scena del cinema italiano recente (fatto salvo Matteo Rovere con Groenlandia). Mainetti, qui allo script e perfino alle musiche, ha mantenuto quel ruspante, incantevole bizzarro innesto de Lo chiamavano Jeeg Robot: radici salde in un romanesco/italiano d’origine e slancio figurativo superhero movie d’oltreoceano.

I quattro freak protagonisti, gli scherzi della natura con superpoteri mai goduti appieno sono le attrazioni di un circo magico senza animali ma alquanto scalcagnato di provincia nella campagna romana del 1943 – il circo Mezza Piotta – diretto dall’anziano Israel (Giorgio Tirabassi): c’è l’imponente e pelosissimo uomo lupo Fulvio (Claudio Santamaria); l’uomo degli insetti Cencio (Pietro Castellitto); il nano magnete Carlo (Giancarlo Parisi); e Matilde, la ragazzina che sprigiona fuoco, fiamme e scariche elettriche appena la sfiori (Aurora Giovinazzo). Appunto, i quattro fanno circo e non hanno la benché minima consapevolezza e volontà di usare siffatto potere per dare un pugno e uccidere, piegare mitragliette col pensiero, attivare un’invasione di insetti velenosi in un amen, incenerire chiunque si ha di fronte in un secondo. Potrebbero cambiare il mondo, soprattutto le sorti della seconda guerra mondiale, con quei nazisti che deportano ebrei e trucidano i nemici a manciate, e invece meditano una fuga verso sud (molto monarchica) per imbarcarsi verso gli Stati Uniti (autopremonizione manettiana?). Tra i fedeli del Furher, proprio a Roma si è stabilito il nazista Franz (Frank Rogowski) che dirige il CircusBerlin, uno spettacolo di regime, zeppo di svastiche e tigri feroci. Franz, tra l’altro, ha sei dita per mano, suona abilmente il pianoforte ad ogni spettacolo incantando come fosse Richard Clayderman, ma soprattutto dà la caccia ai quattro freak del circo Mezza Piotta. Già, perché Franz ha un dote insolita: quando inala etere ha visioni premonitrici del futuro e tra lo smartphone, lo sbarco sulla Luna e il suicidio di Hitler, ha visto davanti ai suoi occhi l’immagine nitida dei quattro freak trionfanti e vivi con sullo sfondo il sol dell’avvenire senza nazisti.

L’inseguimento/scontro tra Franz e quattro si svilupperà graduale coinvolgendo anche truppe partigiane irregolari capitanate dal gobbo (Max Mazzotta) fino ad un roboante finale notturno di fuoco e pallottole. Dicevamo dell’innesto di linguaggio e di tecnica, di quella deviazione inattesa e articolata superhero, sospensione dell’incredulità prolungata, fusa con lo spirito di una romanità disincantata e ironica. Il carpiato riesce con successo, perché i quattro freak, ma parecchio anche il personaggio di Franz, per non dire della caratterizzazione molto da distopia cenciosa artigianale ribelle dei componenti della Resistenza, ha i tratti di un universo fumettistico finora inesplorato nel cinema italiano e di una verve action da cinema di guerra con stuntman (i camion che saltano, le teste che si spappolano) che mescola abilmente dinamicità della scena e dettaglio grandguignolesco. I dodici milioni di euro di budget (Jeeg Robot ne era costati 1,7) si vedono tutti e funzionano.

Anche se nell’insieme abbiamo preferito più la densità e spettacolarizzazione delle scaramucce nel tessuto narrativo centrale del film (l’ingaggio con il camion su cui viene deportato Israel) o l’assalto casuale al vagone di nazi (tre quattro minuti da mandare a memoria in cui il presidente di giuria Bong ci rivedrà anche un po’ del suo Snowpiercer) che il finale più immerso in un’oscurità notturna a tratti ostacolo di una comprensione precisa dell’esito degli scontri in campo lungo, anche se propedeutico all’ “esplosione” di Matilde che è uno spettacolo pirotecnico modello Marvel. Altro pregio notevole, come da tradizione fumettistica Marvel e DC, è la caratterizzazione del villain, qualcosa che spesso vale più di metà del prezzo del biglietto.

Il Franz di Freaks Out è un personaggio complesso. Sadico e risoluto, ma anche fragile e attaccabile, in questa sua premonizione psicofisica del futuro che lo porta allo stremo delle energie. L’idea dei disegni a china (con quello che accadrà nel futuro) appesi su lavagne e tabelloni del suo capannone ufficio stanza da notte, ma soprattutto quel trip rotante in bianco e nero in cui Franz frastornato finisce dopo l’ennesima sniffata, sembra come schiacciare anche lui nella categoria dei supereroi travolti e intimiditi dai loro superpoteri come Cencio, Fulvio&Co. Due gli higlights superlativi nei dettagli: il cubo di Rubik con la svastica che Franz risolve senza nemmeno guardare e l’iPhone SE che all’improvviso trilla sotto il tendone del circo. Freaks Out sembra infine una imponente, coraggiosa, delicatissima scommessa: per Mainetti regista totale (all’opera seconda, pensate un po’), per un’ulteriore evoluzione/trasformazione della nostra industria cinematografica (d’ora in avanti i produttori non ti sgraneranno più gli occhi davanti ad un plot con supereroi), e per gli incassi in sala (ovvero creare uno zoccolo duro oltre i ricavi delle commedie e dei film Disney). Sperare che tutto questo riesca pare un’utopia, ma altrimenti non avrebbe preso vita un’opera importante e spettacolare come Freaks Out. Un consiglio: non uscite dalla sala senza aver visto tutti i titoli di coda. Sono i disegni di Franz su ciò che ha visto nel futuro e riservano sorprese.