Crisi ambientale, conflitti, disuguaglianza. Il problema di sostenibilità della specie umana è ormai impossibile da trascurare. In questa serie di post, come Rethinking Economics Italia analizzeremo all’origine le cause tecnologiche, economiche e politiche dei problemi che affliggono la società moderna e forniremo delle soluzioni per combatterli.

“Competizione significa avere un vantaggio sia in termini tecnologici, di conseguenza sia nei costi, sia in velocità. La digitalizzazione aiuta il gruppo a raggiungere tutto questo”.

Parole di Peter Oberparleiter, CEO di GKN Powder Metallurgy, che introducono alla sezione Innovation Policy del sito del gruppo. Laddove si parla di sistemi di manifattura intelligente, reti di circolazione delle informazioni, dinamicità e resilienza di catene produttive integrate, spesso emerge però un’altra faccia della medaglia che ne rappresenta la trasposizione nel vissuto quotidiano delle persone. Nella lettera di chiusura dello stabilimento GKN di Firenze, con cui fu ufficializzato il licenziamento dei 422 lavoratori, si parla di contrazioni di mercato dell’Automotive tali per cui:

“La struttura organizzativa del gruppo industriale GKN Automotive si rivela non più sostenibile, da ciò la necessità di immediate azioni di efficientamento, semplificazione nonché abbattimento dei costi”.

Si capisce bene che molti dei posti di lavoro cancellati dalla crisi Covid potrebbero essere solo apparentemente ciclici. È bensì sempre più evidente cosa vi è di strutturale dietro. La quarta Rivoluzione Industriale in atto, di cui fa da traino la transizione digitale e tecnologica guidata dai Sistemi di Intelligenza Artificiale (A.I.), l’Information and Communication Technology (ICT) e le nuove forme di connettività integrata (5G), ad oggi, vede ancora la politica e la società arrancare nel tentativo di ricondurre l’innovazione verso condizioni di sostenibilità ambientale e sociale.

Viviamo nella enorme contraddizione per cui la ricerca è necessaria per la crescita e, al contempo, la presente frontiera tecnologica rischia di lasciare indietro ampie fette di popolazione, mentre un’armonica transizione digitale e tecnologica necessariamente dev’essere sostenibile ed inclusiva. Questa prospettiva è minacciata su tre fronti: sociale, etico-economico, ambientale.

Generazioni di lavoratori e generazioni tecnologiche: la necessità di un nuovo approccio al reskilling

Le caratteristiche desiderabili di un sistema di Intelligenza Artificiale, come esplicitate dagli informatici americani Peter Norvig e Stuart Russell, ossia pensare ed agire razionalmente, in modo ottimizzante ma anche umanamente, creano evidenti problemi di sostenibilità sociale nel modo in cui le nuove tecnologie stanno guidando la ristrutturazione dei processi di produzione. In passato, l‘automazione è stata sostitutiva di molte tipologie di lavoro, sebbene l’emorragia di posti di lavoro fu assorbita nel lungo periodo grazie all’ampliamento dei mercati ed alla creazione di nuove attività lavorative.

Oggi viviamo una fase in cui le nuove generazioni della frontiera tecnologica si susseguono rapidamente nell’arco di una stessa generazione di lavoratori, rendendo un processo come l’innovazione dei processi produttivi, socialmente virtuoso, una pesante minaccia per la maggioranza della popolazione. Nello specifico, le capacità previsionali e di comprensione dei contesti delle tecnologie di Intelligenza Artificiale, ossia ciò che in ultima analisi le rende intelligenti, sta incrementando grazie alla crescente disponibilità di Big Data ed al raffinamento dei processi di Machine Learning: in maniera rapida, assistiamo al passaggio da sistemi di Narrow (o Weak) A.I., tecnologie che emulano l’intelligenza umana su compiti determinati (ad esempio, gli assistenti vocali), ad uno sviluppo sempre più marcato dell’Artifical General Intelligence (AGI) la quale risponde in contesti più ampi ai criteri indicati da Norvig e Russell.

Di conseguenza, le skills richieste per non soccombere alla transizione tecnologica sono sempre più raffinate: la frontiera del progresso incrementa così la segmentazione sul mercato del lavoro, per cui lavoratori ad alto capitale umano (high-skilled), in media già remunerati maggiormente, sono complementari alle nuove tecnologie e vedono la propria posizione migliorare, mentre coloro che non fanno parte di questa categoria non solo subiscono uno spiazzamento dal punto di vista occupazionale, ma si trovano anche in una posizione di crescente precarietà.

L’innovazione, perciò, genera autonomamente una iniqua distribuzione dei benefit del cambiamento e l’investimento del privato in riqualificazione della forza lavoro (reskilling) difficilmente riesce ad essere sufficiente a colmare il gap: una possibile linea di intervento che armonizzi il processo di transizione in ottica socialmente sostenibile può essere l’integrazione di politiche pubbliche di reskilling complementari alla previdenza sociale, improntate al continuous learning. In ogni caso, occorre tenere bene a mente che tecnologie che aumentano la produttività e che spiazzano il lavoro sono inscindibili sul breve termine.

Rapporti di forza globali, potere contrattuale delle Big Tech: la morsa sui diritti dei cittadini

L’Unione Europea è minacciata dal punto di vista geopolitico, poiché vive la fase di aggancio allo sviluppo della transizione in una condizione di sudditanza economica rispetto alle tigri asiatiche ed agli Usa. L’Europa possiede uno share del 13% del mercato mondiale degli hardware ed il 27% del mercato delle piattaforme integrate, mentre la restante parte è quasi interamente appannaggio di Cina, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti.

Un medesimo scenario si evidenzia nella distribuzione globale degli High Performance Computer, ossia della frontiera tecnologica informatica attuale. In Europa utilizziamo il 33% della capacità globale di computing ma ne produciamo solo il 2%, mentre in Italia possediamo circa il 4% del potenziale di elaborazione che sarebbe necessario per analizzare la mole di dati giornalmente prodotta.

In secondo luogo, sappiamo che la struttura del mercato attuale consiste in un oligopolio delle Big Tech destinato ad ampliarsi. La loro dimensione è quadruplicata in proporzione al PIL globale dal 2000 al 2019 e rappresenta una minaccia di carattere non solo economico: l’economista dell’MIT Daron Acemoglu nota come la creazione di posizioni dominanti sul mercato di tale entità porti le compagnie ad avere un potere negoziale sostanzialmente superiore a quello degli Stati, quindi ad essere in grado di decidere unilateralmente la direzione dello sviluppo di A.I., aggirando standard internazionali sia etici che di sicurezza. Acemoglu puntualizza come ciò sia una minaccia, in ultima istanza, ai diritti umani fondamentali, come palesatosi nel caso dell’algoritmo di recruitment di Amazon rivelatosi discriminatorio verso candidati di sesso femminile, e per la democrazia, come nel recente caso della diffusione dello spyware Pegasus [1][2].

Sulla necessità di direzionare e rinforzare la ricerca in base a valutazioni d’impatto sociale ed etico delle forme di intelligenza artificiale emergenti, va segnalato l’Artificial Intelligence Act UE del 21/04/21: introducendo una classificazione di rischio, a cui è subordinata l’immissione di sistemi di A.I. all’interno del Mercato Unico, e stabilendo nuovi punti fermi nel bilanciamento d’interessi tra velocità dell’innovazione e sicurezza pubblica, spostando il più possibile i costi e le responsabilità sugli innovatori stessi, muova nella direzione di incanalare lo sviluppo di A.I. e le sue implementazioni in campo industriale lungo un sentiero virtuoso.

Sostenibilità energetica: la convenienza di pochi guida il progresso a danno della collettività

C’è infine un problema interconnesso con la questione energetica, di cui raramente si fa menzione. Le nuove tecnologie hanno un’incidenza crescente sul consumo energetico globale: se oggi siamo al 5%, si stima che, in un trend catalizzato dall’impulso pubblico e privato alla digitalizzazione, arriveranno ad assorbire circa il 20% dell’energia elettrica disponibile già al 2030. Nella fase di transizione, gli investitori beneficiano chiaramente del vantaggio della prima mossa: il ROI (Return On Investment) delle grandi compagnie per investimenti in Intelligenza Artificiale e Big Data è stimato intorno a 37 (1 dollaro ne rende 37 in media) e questo ovviamente autoalimenta l’affollamento di capitali che si osserva, con le digital companies che hanno raggiunto valori di quotazione intorno ai 1000 miliardi di dollari.

Il dato dunque cela un’ultima sostanziale questione di sostenibilità: i costi sociali del possesso e del funzionamento delle nuove infrastrutture digitali sono ancora più alti di altri metodi di produzione ed in crescita assoluta sul piano energetico, tuttavia i rendimenti privati non internalizzano adeguatamente questo aspetto ed anzi la alimentano. C’è urgente necessità di premere sull’efficientamento energetico della capacità di calcolo disponibile, sebbene questo potrebbe comunque non bilanciare l’aumento del consumo energetico guidato dal crescente utilizzo.

[1] Spyware Pegasus, come è nato, come si diffonde e quanto costa, Corriere della Sera 18 luglio 2021

[2] Pegasus: Spyware sold to governments ‘targets activists’, BBC News, 19 luglio 2021

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