Davvero l’Unione europea ha promosso la riforma della giustizia di Marta Cartabia, come hanno sostenuto Repubblica, Il Sole 24 Ore e il Giornale? E davvero ha mai lanciato un allarme sul ritardo del governo Conte nel presentare i suoi progetti per il Recovery Plan, come ha titolato in prima pagina Repubblica? Notizie false tengono banco sui giornali, mentre scompaiono, o vengono compresse in trafiletti interni, tante notizie vere. Come il nome della famiglia Benetton dalle prime cronache del crollo del Ponte Morandi a Genova. O le condanne in appello per concorso esterno in associazione mafiosa di due politici importanti, Nicola Cosentino e Antonio D’Alì. Poi ci sono le notizie elastiche: si danno quando danneggiano un avversario, si nascondono per favorire un amico. Ricordate i titoloni dell’estate 2020 sulla scuola impreparata al ritorno in classe in emergenza Covid? Nell’estate 2021 la situazione è identica, ma al governo ci sono “i migliori” e i toni si fanno assai più concilianti.
Queste e altre vicende sono ricostruite su FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in edicola da sabato 11 settembre dedicato a censura e autocensura nell’informazione e nell’editoria. Qualche esempio? “Una sponda dall’Ue al progetto Cartabia”, titola Repubblica il 21 luglio. Sulla stessa linea Il Sole e Il Giornale. Lo spunto è la relazione dello Stato di diritto 2021 dell’Unione europea. Ma basta andarsela a leggere per scoprire che il documento copre il periodo settembre 2020-luglio 2021, e solo a luglio la riforma voluta dal governo Draghi ha visto la luce in Consiglio dei ministri. La relazione si occupa infatti della legge firmata dal predecessore, il 5 Stelle Alfonso Bonafede. E promuove la sua riforma della prescrizione, proprio il punto fondamentale che la Cartabia intende modificare. E quando due magistrati autorevolissimi e intervistatissimi, Nicola Gratteri e Federico Cafiero De Raho, auditi in Commissione bocciano la riforma senza appello, non trovano spazio su nessuna prima pagina salvo su Il Fatto Quotidiano.
A rischio scomparsa sono speso le notizie che danno noia ai potenti. Il 17 agosto Fiat Chrysler Usa ha patteggiato negli Stati Uniti una multa da 30 milioni di dollari per aver corrotto dei sindacalisti fra il 2009 e il 2016, ottenendo così un occhio di riguardo nelle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro. Non una riga sul quotidiano La Repubblica, di proprietà del gruppo Gedi, controllato dalla famiglia Agnelli. Il sito ne scrive il 19 agosto, con un titolo non certo immediato: “Fca-sindacati, il caso dei pagamenti allo Uaw (il sindacato in questione, ndr) si chiude con una sanzione di 30 milioni”. Il Corriere della Sera sceglie un “piede” a pagina 30, nella sezione Economia, citando “il caso Uaw”, sigla del tutto ignota al pubblico italiano. Peccato, perché nel breve testo dell’articolo si può leggere che “questo caso segna una delle più gravi violazioni delle leggi sindacali nella storia degli Stati Uniti”. Non una riga su Stampa. e Messaggero. Il manifesto e Il Fatto Quotidiano sono le testate che danno maggior risalto alla notizia.
E se le notizie invece di scomparire compaiono, grazie al lavoro giornalistico d’inchiesta? Allora finiscono sotto attacco da parte della politica, non solo con querele spesso temerarie, ma con ricorsi ad autorità garanti e e persino al Tar, come racconta in un’intervista il conduttore di Report Sigfrido Ranucci. Il mensile ricostruisce i più eclatanti assalti della politica al giornalismo d’inchiesta attraverso la Commissione di Vigilanza sulla Rai, spesso utilizzata per cercare di intimidire cronisti e reporter del servizio pubblico. In Vigilanza capita che Maurizio Gasparri faccia un’interrogazione per chiedere al Tg1 come mai non ha dato notizia di “un grave incidente in monopattino” o che il renziano Michele Anzaldi ne presenti una sugli “sforamenti” di Carta bianca ai danni di Linea notte. Quando poi un approfondimento chiama in causa un leader o un partito politico, scatta l’assalto all’arma bianca. Per esempio contro Report nella puntata sull’incontro Renzi-Manicini in autogrill o contro il Tg1 per un’inchiesta sulla falle della Regione Lombardia nella gestione dell’emergenza Covid. Primo Di Nicola, diventato vicepresidente della Commissione di Vigilanza per i 5 stelle dopo una vita da giornalista politico, scrive su FQ MillenniuM la sua esperienza dall’interno. E chiede l’abolizione della Commissione.
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