In una delle filiali francesi di una grande azienda di elettrodomestici viene chiesto un drastico piano di licenziamenti dalla corporation americana a cui è affiliato. Il direttore prova a evitare senza troppi eroismi il bagno di sangue, ma scopre di essere una pedina anch’esso di un gioco più grande di lui che stritola chiunque. Alla regia Stephan Brizé che già aveva affrontato gli stessi temi in En guerre e La loi du marché
“Il mio boss è Wall Street”. Lo dice mister Cooper, l’americano con maniche di camicia arrotolate in collegamento streaming, ceo di una multinazionale che taglia teste per dare fiducia agli azionisti. Ed è inutile girarci attorno. Il destino dei lavoratori di tutto il pianeta oggi lo decide la grande finanzia internazionale. Nessuno escluso. In primis una delle filiali francesi dell’azienda di elettrodomestici Elsonn, al centro del film, in Concorso a Venezia78, Un autre monde, a cui viene richiesto dalla casa madre, ovvero dagli “americani”, la corporation che tira i fili di ogni proprio burattino rimasto sul territorio sparso del mondo, di redigere un brusco piano di licenziamenti.
A quel punto, paradossalmente, tra i due fuochi, la direttrice delle filiali francesi e del boss Cooper da una parte, e i responsabili dei vari settori aziendali dall’altra, rimane il direttore del più importante stabilimento francese, Philippe Lesmeles (Vincent Lindon). L’uomo, piuttosto ricco, un divorzio dispendioso e doloroso in atto, un figlio con grossi problemi mentali seguito in collegio da medici particolari, ha decenni di esperienza manageriale alle spalle. Proverà così ad interpretare il solito ruolo del padrone verso i dipendenti più riottosi fingendo che nulla stia accadendo, poi presenterà leggeri ritocchi del personale che non minino la qualità del lavoro in azienda, infine, ricevendo dalla direttrice delle filiali di Francia sempre picche, userà il buon senso. Perché i manager aziendali dagli stipendi milionari non si tagliano premi e bonus in modo da non dover licenziare i propri dipendenti? La risposta alla proposta di Lesmeles è in fondo ad un film politico, sincero, combattivo, potente come Un atre monde di Stephan Brizé (già ammirato in Une vie e En guerre).
Messa in scena incentrata su alcune articolate sequenze di fitto dialogo d’insieme in stanze d’ufficio, intervallate da lunghe sequenze con Lesmeles alla scrivania o a casa in silenzio concentrato su scartoffie impegnative da sottolineare o davanti al pc perennemente acceso. Brizè costruisce senso attraverso un testo densissimo e con un attento anche se minimo scalpellare sui caratteri dei personaggi, ma anche ad una macchina da presa che staziona in semisoggettiva, vicino, alle spalle, a ridosso di Lesmeles e dei co-protagonisti quasi a rubare sprazzi di segreti (di Pulcinella, lo dicono anche nel film) su come funziona la legge del mercato contemporaneo (Brizè un film intitolato la Loi du marchè l’aveva pure girato non tanto tempo fa). Non c’è più posto per un briciolo di dignità. E chi sta più in alto nella scala gerarchica del capitale sbrana quello che c’è sotto (sottofinale e finale di Un autre monde vibrano a tal proposito come nulla visto fino ad oggi al cinema sul tema). Lyndon imperturbabile, serio, contrito, l’abbiamo visto negli ultimi anni in ogni ruolo, protagonista di un cinema impegnato a mostrare i gangli nascosti e putrefatti del neoliberismo contemporaneo.
Disoccupato, operaio in sciopero e combattente, ora con Un autre monde dirigente d’azienda in conflitto profondo con sé stesso. Capisce la giungla in cui è finito col tempo, ne percepisce le scosse, il puzzo di morte, il dolore, il dramma e ci prova. Mette persino il bastone tra le ruote in modo ingenuo in un meccanismo mostruoso che vediamo ogni giorno anche in Italia: corporation e multinazionali fanno shopping di aziende nazionali in difficoltà e poi gettano la chiave, licenziando, qualcuno godendo pure, tanto “il mio boss è il mercato”. Un autre monde lo riguarderemo tra una ventina d’anni urlando: ma perché non ci abbiamo pensato prima. Un cinema necessario di cui non si può fare a meno.