La sentenza della Cassazione depositata ieri ha stabilito che l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche (tuttora prevista da un regio decreto del 1924 non avendo il Parlamento approvato una Legge) non è più un atto dovuto, non essendo consentito dalla Costituzione imporne la presenza.

Il non-obbligo, tuttavia, non si traduce in un divieto di esposizione del crocifisso: esso, pertanto, può legittimamente essere esposto “allorquando la comunità scolastica valuti e decida in autonomia di esporlo, nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocifisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica e ricercando un ‘ragionevole accomodamento’ che consente di favorire la convivenza delle pluralità”.

Siamo di fronte ad una sentenza rivoluzionaria.
Una decisione arrivata grazie all’insegnante Franco Coppoli che finalmente si è visto annullata la sanzione disciplinare e definito illegittimo l’ordine di servizio e la circolare del dirigente scolastico che imponevano il crocefisso in classe.
Una lunga battaglia civile per la libertà di coscienza nel nostro Paese.

Una battaglia vinta contro quei dirigenti e quegli insegnanti che pretendono il crocifisso in aula: contro quei politici cattolici che vogliono imporre unilateralmente un simbolo confessionale nella scuola di tutti.

Lo voglio dire con tutta la schiettezza possibile: credo di essere ateo ma non sono anticlericale; non ho mai pensato di sbattezzarmi e ho come punto di riferimento nella mia vita i valori del pensiero cristiano e non solo. Tra i miei libri più cari ho testi di David Maria Turoldo; di don Lorenzo Milani; di padre Balducci, di don Tonino Bello e di molti altri.

Sono amico di preti, vescovi e persino di un cardinale.
Talvolta frequento anche la Santa Messa se può essere occasione per vivere un’esperienza di comunione con altre persone. Mi hanno invitato spesso a parlare del priore di Barbiana; così come sono amico di scuole paritarie gestite da persone intelligenti e di monaci e monache cattolici e ortodossi.

Fatta questa necessaria premessa per far comprendere la mia identità sono felice che oggi la Giustizia abbia stabilito che nella Scuola pubblica, aperta a tutti per definizione della nostra Costituzione, non debba per forza esserci il simbolo di una sola religione.

In questi anni la battaglia condotta sul crocifisso in classe ha perso di vista un punto fondamentale: che valore ha quella croce nelle nostre aule? Perché imporre in una scuola aperta a tutti, musulmani, induisti, buddisti, atei, un segno che rappresenta solo il cristianesimo? La risposta di chi sostiene l’importanza dell’esposizione è sempre la stessa: il nostro Paese e il nostro Continente vengono dalla tradizione cristiana. Ma ora mi domando: basta un crocifisso per tramandare la tradizione, per affermare giustamente la propria identità?

Proprio coloro che brandiscono il crocifisso non si rendono conto che nelle nostre aule vale quanto il calendario della Banca o del supermercato.
Anzi, forse, al secondo vien data più attenzione.
La croce in classe è solo una suppellettile.
Ho sempre sognato una scuola dove i valori del cristianesimo che non divergono certo da quelli di altre religioni fossero vissuti anziché manifestati da uno sterile simbolo.
Non è mai stato possibile.

Eppure se in una scuola non ci fosse neanche un crocifisso vi assicuro che nessuno se ne accorgerebbe: qualche anno fa, prima che iniziassero le lezioni, li levai dalle aule per farli riapparire al termine delle lezioni a giugno: nessuno se ne accorse.
Dal momento che eravamo costretti, fino a prima di questa sentenza, a subire quella croce appesa al muro in questi anni ho deciso quantomeno di sostituirla con una croce di legno arrivata da Lampedusa e realizzata con le barche disperse che trasportano i migranti. Un modo per collegare quei due pezzi di legno con la vita delle persone che soffrono proprio come Cristo durante la sua esecuzione capitale

Eppure preferirei trasmettere ai miei alunni un segno di gioia, di vita non di morte. Se proprio devo avere in aula un simbolo che richiami la nostra identità cristiana preferirei avere un’icona della resurrezione. Tra l’altro va detto, che prima della croce, il simbolo rappresentante Cristo nei primi secoli era un pesce.

Da oggi, in ogni caso, abbiamo una sentenza che parla di “un ragionevole accomodamento che consente di favorire la convivenza delle pluralità”. Sarà la comunità scolastica, non il preside a decidere.

Finalmente potrò chiedere, senza paura, che venga tolto o che, quantomeno, siano aggiunti altri simboli di altre religioni senza rischiare un provvedimento disciplinare dal capo d’istituto cattolico. Quel simbolo, che appartiene alla tradizione culturale del popolo italiano – hanno osservato i giudici – non interferisce con la possibilità di ciascun insegnante di manifestare le proprie convinzioni religiose, finanche criticandone davanti alla classe, in modi adeguati, il significato e la stessa presenza. In definitiva, la circolare del dirigente scolastico era illegittima perché ‘ordinava’ l’esposizione del crocifisso senza percorrere la strada del confronto e della mediazione, con la conseguenza che parte della sanzione disciplinare che era stata inflitta al docente dissenziente è stata invalidata.

Da oggi ciascun docente dovrebbe assumersi la responsabilità di dare valore a quella croce, lasciandola o chiedendo di toglierla.

Da oggi, ogni dirigente scolastico dovrebbe non più imporre una croce ma decidere con la sua comunità scolastica, lasciando finalmente liberi di esprimere la propria opinione anche un ateo o un buddista. Viva la libertà d coscienza!

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