“Un capriccio orribile dai colori sgradevoli”. “Un fallimento esageratamente appariscente”. “Scadente e comprensibile solo dagli ammiratori del kitsch”. Variety ha semplicemente distrutto Freaks Out di Gabriele Mainetti. Uno dei cinque film italiani in Concorso a Venezia 78. Un tiro ad alzo zero a poche ore dalla consegna del Leone d’Oro che ha coinvolto in maniera massiccia anche Qui rido io di Martone, America Latina dei D’Innocenzo e nientemeno che È stata la mano di Dio di Sorrentino. Insomma, ai recensori di Variety il cinema italiano in Concorso a Venezia fa schifo proprio. Salvano giusto Frammartino, un gran bel film, paradossalmente quello più prevedibile e codificabile come cinema d’essai italiano, tanto che sembra davvero un’ulteriore provocazione.
Realizzate pure film pensosi, sperimentali, di nicchia, che al resto, come sempre, pensiamo noi ad Hollywood. Sulla regia dei D’Innocenzo parlano di “atteggiamento vuoto e fasullo”, solo che se un film alla America Latina prodotto negli Stati Uniti per circuiti art house l’avesse girato qualche intellettualino east coast o qualche figlio annoiato di regista anni settanta altro che ditirambi. È stata la mano di Dio, film difficile davvero da attaccare, perché sbaraglierebbe metà delle produzioni brillanti di Hollywood e gareggerebbe diretto agli Oscar, a Variety fanno ammuina prendendosela con i co-protagonisti “esagerati e fastidiosamente aspri”.
Su Qui rido io, un film semplicemente perfetto, che non ha bisogno nemmeno di essere sfiorato, Variety sciorina la classica incomprensione tra culture, sostenendo che è un film “difficile da digerire (…) pieno di ziti, parmigiana (?) e tiramisù”, poi aggiunge che ha una “sceneggiatura disordinata”. Insomma, la classica invidia del pene. Noi italiani abbiamo una tradizione storica della commedia teatrale alla Scarpetta e alla De Filippo, come alla Martone e Servillo nel riprodurli con adesione e vivacità, e loro hanno quattro vaccate umoristiche televisive nate giusto negli anni sessanta/settanta dopo aver smesso di spostare mandrie per mezzo paese (e averci fatto due scatole così con migliaia di western). Capita. Fatevene un ragione.
Non per arrivare ad uno scontro nazionalista – che poi ogni tanto male non farebbe – ma questo atteggiamento da padroni coloniali del paradigma produttivo e culturale cinematografico fa davvero pietà. L’apice, infatti lo si raggiunge con Freaks Out, film che va proprio a pungere nel terreno più standardizzato globalmente e colonialmente dalle megaproduzioni Usa: i superhero movie. La messa in scena di Mainetti potrà avere ogni tipo di difetto del mondo (noi ad esempio, magari sbagliando, non abbiamo segnalato che i deportati ebrei hanno gli stessi cappotti e le stesse facce di quelli de La vita è bella) ma da qui a descriverlo come una fetecchia disumana davvero ce ne corre.
Leggiamo ancora la Bibbia del cinema: “Un orribile miscuglio tra confusionario massimalismo sul tema circense, stravaganza sovrannaturale realizzata in misera computer grafica, e sentimentalismo stucchevole che puoi sentirlo perfino nelle tue otturazioni”. Ora, dal momento che non conoscevamo il termine fillings l’abbiamo finalmente scoperto: otturazioni. Ebbene, volevamo umilmente ricordare a Variety che noi di molta paccottiglia Marvel e DC, gravida di un politicamente corretto che sfiancherebbe un francescano, appiattita da una computer grafica oramai indistinguibile buona giusto per farci il brodo, che ci siamo dovuti sorbire per anni l’abbiamo addirittura sentita borbottare nell’intestino crasso. Quindi stasera, per il Leone d’Oro, frittatona di cipolla e birra ghiacciata a tifare Mainetti, Martone, D’Innocenzo, Sorrentino e Frammartino.