“Se si batte la testa a una velocità di 20 km/h si ha perdita di coscienza o amnesia. A 25 km/h il cranio si frattura e si provocano lesioni celebrali. Il casco serve a tutti, non solo ai minorenni. E i monopattini, così come sono, sono rischiosi”. Andrea Costanzo, professore di ortopedia e traumatologia all’Università La Sapienza e presidente di Socitras, la Società italiana di traumatologia della strada, su questo punto non ha dubbi. “Come altri veicoli elettrici hanno il problema della silenziosità: dalle bici o dalle moto ci si salva perché li si sente, dai monopattini no”. Sono potenzialmente pericolosi sia per i pedoni sia per chi li guida. Ecco perché Regione Lombardia ha di recente approvato una legge da sottoporre al Parlamento che punta a modificare alcuni aspetti. Si articola in tre punti: divieto di guida ai minorenni, obbligo di casco esteso a tutti e di assicurazione civile verso terzi. La cronaca recente – con due episodi mortali nelle ultime settimane – e i dati forniti dall’Agenzia regionale emergenza urgenza (Areu) confermano l’allarme. Da giugno del 2020 si contano 659 richieste di soccorso nella sola Milano. Circa un incidente al giorno. “Nel corso delle mie lezioni faccio sempre l’esempio di Serse Coppi, fratello di Fausto. Morì per i postumi di una caduta che non sembrava neanche grave: aveva battuto la testa durante una gara. Gli incidenti derivanti da questa tipologia di mobilità possono essere più pesanti di quello che sembrano e le protezioni sono necessarie“, prosegue Costanzo.
PEDONE E CICLISTA – Il monopattinista, dice Costanzo, è soggetto a una doppia tipologia di traumi: da pedone e da ciclista. “In entrambi i casi rischia fratture di arti e lesioni addominali, a seconda che l’impatto sia frontale o laterale. Gli incidenti che possono verificarsi sono il tamponamento, l’investimento con caricamento o, peggio, l’arrotamento. Cioè il passaggio delle ruote della macchina sul pedone stesso”, spiega il presidente Socitras. “L’auto può frenare, ma una fase di scivolamento della vettura c’è sempre”. Il rischio più grave che corre il monopattinista (se viene considerato come pedone) è il trauma cranico: “C’è da preoccuparsi se impatta la testa nel punto in cui ci sono i tergicristalli, fra il parabrezza e il cofano. Il rischio diventa mortale”. Per quanto riguarda i traumi da ciclista, c’è da temere invece il side crash: “Cioè l’impatto laterale. Ma sono pericolose anche le cadute, le scivolate. Se un ciclista si piega di lato e batte la testa da fermo raggiunge in media una velocità di 20 km/h. Immaginiamoci quando corre”.
GLI STRUMENTI PER MIGLIORAE LA SICUREZZA – Luci, casco e patentino sono la triade da cui partire (o cui puntare) per usare questo mezzo in sicurezza. Giubbotti catarifrangenti da utilizzare non solo di sera, spiega Costanzo, ma già al tramonto. “E le luci, più di una, andrebbero messe sulla punta del manubrio. Quando cala la luminosità chi guida il monopattino deve diventare riconoscibile come sagoma“. Il casco, al momento obbligatorio solo per i minorenni, andrebbe esteso a tutti. “Integrale o comunque in grado di proteggere anche la gola“, precisa il presidente Socitras. Il patentino è utile perché manca spesso la conoscenza del codice della strada: “Di solito si impara ad andare in bici con calma, magari da bambini. Per prendere il motorino invece è necessario il patentino, con conseguente formazione. E il monopattino? I minorenni che lo usano dove hanno imparato le regole?“. Quanto alla velocità, continua Costanzo, dovrebbe attestarsi su un massimo di 15 o 20 km/h. Sarebbe inoltre importante correggere alcuni aspetti generali dell’universo stradale. “Il miglioramento della sicurezza sulla strada è frutto di diversi fattori. Primo fra tutti, e su questo non c’è niente da fare, la riduzione della velocità. Poi il ridisegno dello stesso spazio stradale. La moderazione del traffico. I controlli sul traffico veicolare. E infine, i rilevatori e i sensori: bisogna fare la multa a chi corre dove non può farlo”.
NEL MONDO – Costanzo cita Helsinki, capitale della Finlandia. La città ha progressivamente diminuito la velocità delle auto a partire dagli anni ’70. Ora il limite è 30 km/h, 40 per le aree a maggiore scorrimento. Risultato: negli anni ’60, circa 40 pedoni all’anno morivano in incidenti stradali. Oggi il numero si è ridotto a quattro, nonostante il traffico automobilistico sia quasi triplicato. “Nel Paese si impegnano molto nella formazione. Per esempio, insegnano agli immigrati che non lo sanno fare ad andare in bicicletta. Il programma si chiama Immigrants on bike”, chiude Costanzo. Un modo per diffondere conoscenza sull’universo stradale. E i pedoni che camminano guardando il telefono? “Semplicemente, sbagliano. Mi viene in mente Shangai, in Cina, che da qualche anno ha istituito una corsia apposita”. Si chiama cellphone lane. Difficile ipotizzare se una soluzione come questa sia applicabile anche in Italia. Intanto i monopattini corrono, sempre veloci e sempre silenziosi.