Economia

In Usa stop ai sussidi introdotti per il Covid. “Ma impatti minimi su occupazione. Consumi? Crolleranno di 8 miliardi in due mesi”

Il Labor Day americano è coinciso con la fine dei programmi di sostegno alla disoccupazione avviati durante la pandemia. Biden ha chiuso i rubinetti a oltre 9 milioni di persone, con l'obiettivo dichiarato di incentivare il lavoro sulla scia della ripresa già sperimentata negli ultimi mesi. Due studi però avvertono che anziché sperimentare un boom occupazionale si rischia il crollo della spesa delle famiglie: negli Stati americani dove gli aiuti sono già interrotti, c'è stato un aumento dell’occupazione solo del 4,4% a fronte di una diminuzione dei consumi di 145 dollari a settimana

È stato un Labor Day amaro, quest’anno, per milioni di lavoratori americani. La festa del lavoro a stelle e strisce, che si celebra ogni anno il primo lunedì di settembre, è stata segnata dalla chiusura dei programmi di sostegno alla disoccupazione avviati per contrastare gli effetti della pandemia. La Pandemic Emergency Unemployment Compensation (Peuc), che estendeva la ricezione dei regolari sussidi di disoccupazione a coloro che ne erano titolati fino a 53 settimane, e la Pandemic Unemployment Assistance (Pua), che estendeva i sussidi anche lavoratori autonomi, indipendenti, freelance e part-time sono state sospese dall’amministrazione federale, chiudendo i rubinetti a oltre 9 milioni di persone, con ripercussioni su 35 milioni di americani, il 10% della popolazione. L’obiettivo dichiarato dall’amministrazione è quello di incentivare il lavoro ma, nonostante gli annunci degli ottimi risultati nel mercato del lavoro ottenuti negli ultimi mesi, la California ha avviato un nuovo programma di aiuti e studiosi e analisti dimostrano che il taglio dei sussidi sia di fatto irrilevante nella crescita dell’occupazione, provocando invece il crollo verticale dei consumi.

Mentre sono stati appena fermati i sussidi alla disoccupazione per l’emergenza pandemica, la Casa Bianca ha annunciato importanti progressi nella creazione di posti di lavoro. Secondo gli ultimi dati diffusi da Washington, le richieste medie di accesso ai sussidi di disoccupazione sono crollate del 60% dall’arrivo del nuovo presidente e hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi 18 mesi. “Insieme a sette job report consecutivi positivi che hanno visto quasi 4,5 milioni di nuovi posti di lavoro dall’inizio della mia amministrazione, questo calo delle richieste di accesso alla disoccupazione è un’ulteriore prova di una ripresa economica duratura”, ha dichiarato il presidente americano, Joe Biden, che ha sottolineato i primati raggiunti dalla sua amministrazione. “Dopo una crescita anemica di soli 60mila posti di lavoro al mese nei tre mesi precedenti al ​​mio primo mese intero in carica, ora abbiamo creato 750mila posti di lavoro al mese negli ultimi tre mesi – e abbiamo quasi raddoppiato il precedente record di nuovi posti di lavoro raggiunto da qualsiasi altro presidente al primo anno nei primi sette mesi di incarico”.

Eppure, nel Paese non mancano voci e opinioni di diverso tenore, a partire da quella del governatore della California, Gavin Newsom. A Los Angeles e dintorni, infatti, è in corso la distribuzione di un nuovo pacchetto di aiuti, rivolto a quasi due terzi della popolazione californiana. Il Golden State Stimulus II Program prevede un deposito di 600 dollari ai cittadini che nel 2020 hanno dichiarato un reddito compreso tra 0 e 75mila dollari, e ulteriori 500 dollari per le famiglie con figli. “Il Golden State Stimulus è la chiave per risollevare le persone più colpite dalla pandemia e sostenere la ripresa economica della California, mettendo i soldi direttamente nelle mani delle persone che li spenderanno per i bisogni di base e all’interno delle loro comunità locali”, ha affermato il governatore. Gli Stati Usa che avevano già tagliato i sussidi nei mesi scorsi, anziché sperimentare un nuovo boom occupazionale, hanno al contrario visto crollare la spesa di una parte rilevante della popolazione, quella più fragile.

Uno studio pubblicato poche settimane fa da un gruppo di ricercatori della Harvard University, Columbia University, University of Massachusetts Amherst e University of Toronto, intitolato “Early Withdrawal of Pandemic Unemployment Insurance: Effects on Earnings, Employment and Consumption”, illustra come il taglio dei sussidi non abbia avuto effetti rilevanti sull’occupazione, ma piuttosto abbia intaccato direttamente i consumi. A giugno 22 Stati Usa avevano già interrotto la distribuzione di ogni sussidio introdotto a causa della pandemia, tagliando completamente gli aiuti a 2 milioni di persone e riducendo i sussidi di 300 dollari a settimana a un ulteriore milione di persone. Attraverso un’analisi in forma anonima delle transazioni bancarie e confrontando gli Stati che avevano tagliato o eliminato i sussidi con il comportamento delle persone in altri 23 Stati che invece avevano mantenuto gli aiuti, i ricercatori hanno rilevato che la riduzione nella distribuzione dei sussidi del 35% ha provocato un aumento dell’occupazione solo del 4,4 per cento.

In un’economia che ha ancora 5,7 milioni di posti di lavoro in meno rispetto al contesto pre-pandemia, secondo i ricercatori solo 1 persona su 8 a cui a giugno erano stati tagliati i sussidi, ad agosto aveva ritrovato un’occupazione. Per il totale dei lavoratori coinvolti, la riduzione media di 278 dollari a settimana di aiuti è stata controbilanciata da un guadagno medio di 14 dollari a settimana, compensando solo il 5% della perdita di reddito. E provocando un crollo immediato dei consumi, diminuiti di 145 dollari a settimana. “Ci sono 12 milioni di persone che ricevono dei sussidi, la maggior parte dei quali riferiti ai programmi PUA e PEUC che stanno per scadere”, scrivevano poche settimane fa i ricercatori, anticipando quanto accaduto negli ultimi giorni. “Questo significa che l’impatto potrebbe essere circa 4 volte quello registrato con i tagli di giugno”, suggerendo che potranno esserci circa mezzo milione di nuovi occupati, ma a fronte di 4 milioni di persone alla ricerca di un lavoro che non troveranno un impiego. Senza contare la riduzione dei consumi che i ricercatori stimano a settembre e ottobre di 8 miliardi di dollari.

Conclusioni simili sono state suggerite da un altro studio intitolato “Micro and Macro Disincentive Effects of Expanded Unemployment Benefits” e firmato dai ricercatori dello Jp Morgan Chase Institute e della University of Chicago e National Bureau of Economic Research (Nber). “Il disincentivo all’occupazione generato dall’ampliamento dei sussidi è quantitativamente ridotto”, scrivono gli studiosi, mostrando come il tasso di ricerca di lavoro, cioè il tasso al quale il lavoratore disoccupato medio nell’economia trova un lavoro, sia passato dall’1,6% al 2,4% a settimana a seguito della fine dei sussidi, ma sia rimasto ben al di sotto del 5% medio a settimana che si registrava prima della pandemia. Il sussidio di 600 dollari avrebbe dunque avuto un effetto di riduzione dell’occupazione dello 0,8%, mentre quello di 300 dollari dello 0,5 per cento. Cifre che hanno portato i ricercatori ad affermare con chiarezza che “i sussidi di disoccupazione non sono il fattore chiave del tasso di ricerca di lavoro” e che le decisioni politiche degli Stati Uniti hanno risposto bene alla perdita di reddito della popolazione dovuta alla disoccupazione, con impatti minimi sull’occupazione.

Il report settimanale del Dipartimento del Lavoro, nella sua ultima edizione prima della chiusura dei programmi di aiuto, evidenziava come fossero 9,2 milioni i cittadini Usa a beneficiare della Pandemic Emergency Unemployment Compensation (PEUC) e della Pandemic Unemployment Assistance (PUA). E all’inizio di settembre altre 100mila persone avevano avviato la pratica per poter aderire al programma PUA. Secondo la Household Pulse Survey del Census Bureau, le famiglie che aderivano a questi programmi erano composte in media da 3,8 membri: significa che circa 35 milioni di persone, il 10% della popolazione degli Stati Uniti, appartengono a una famiglia che ha appena perso gli aiuti statali di contrasto alla disoccupazione.

In una situazione molto delicata, intanto, si apre un nuovo fronte di tensione. In molti Stati un numero non trascurabile di assegnatari dei sussidi è stato raggiunto da una richiesta di rimborso, sia a seguito di errori nella distribuzione, sia perché diretti a non titolari, sia dopo una rideterminazione dei criteri. In Michigan, per esempio, a 690mila cittadini è stato chiesto alcune settimane fa di procedere nuovamente alla richiesta, a seguito del cambiamento dei criteri di assegnazione. Mentre 240mila hanno fornito di nuovo i propri dati e la propria situazione qualificante, gli altri 350mila non hanno risposto alla richiesta. In un primo momento la direttrice del programma, Liza Estlund Olso, aveva mostrato tranquillità e assicurato che “i richiedenti non più idonei non dovranno restituire il denaro ricevuto quando, non per colpa loro, hanno scelto uno dei quattro motivi non ammissibili”. Ma oggi il suo ufficio è nell’occhio del ciclone, a seguito delle investigazioni del Michigan House Oversight Committee, che hanno fatto emergere 500mila tentativi di accedere ai sussidi in maniera fraudolenta e 5,3 milioni di richieste complessive di aiuti nell’ultimo anno e mezzo. Ventisei volte oltre il livello medio di richieste e più della metà di tutti i cittadini del Michigan. Simili approfondimenti sono in corso anche in altri Stati.