Televisione

Sul tetto del mondo, ecco perché non ci è piaciuto il docufilm Rai su Walter Bonatti

Il docu-drama diretto da Stefano Vicario (figlio della Podestà e importante regista di tanti programmai Rai) è uno di quei pastrocchi cinetelevisivi che spingono al lavaggio dei piatti quando avresti comoda la lavastoviglie vuota e pronta

Credi di vedere Walter Bonatti e Rossana Podestà e ti ritrovi Fabio Fazio con Michele Serra. Sul tetto del mondo, il docu-drama diretto da Stefano Vicario (figlio della Podestà e importante regista di tanti programmai Rai) è uno di quei pastrocchi cinetelevisivi che spingono al lavaggio dei piatti quando avresti comoda la lavastoviglie vuota e pronta. Confusionario nella forma, sbrindellato nei contenuti, anemico nelle emozioni, umanamente ingiusto nel catapultarci dal romantico e tenero rapporto d’amore tra Walter e Rossana al salotto con candele di Serra, dalle imprese inaudite di Bonatti e dal sorriso splendido della Podestà allo striminzito pizzetto di Fazio. Il problema sta nel manico.

Sul tetto del mondo è un affare di immagini in movimento tripartito tra solenne bianco e nero d’archivio sulle imprese del Re delle Alpi, una parte di finzione ricostruita alla bell’e meglio con Bonatti/Alessio Boni e Podestà/Nicole Grimaudo che si incontrarono da mature celebrità nel 1981 rimanendo poi insieme tutta la vita, e infine da terrificanti interviste dell’oggi a smontare il già faticoso cocktail. Così tutto shakerato come fosse un bloody mary. E passa quando intervistano Reinhold Messner che di cosine sull’alpinismo ne sa. Passino gli storici della montagna e amici di Bonatti come Moro e Mantovani. Ma quando sbucano (e di frequente) i conduttori tv ed elzeviristi mainstream in chiave didascalico sorpresa (“lui era bravo”, “fece una cosa straordinaria”, ecc…) ecco che il padellone unto della cena da lavare è un richiamo più forte di qualunque fiction.

Per non parlare del caos di comprensione nell’annosa vicenda dell’ascesa al K2 del ’54. Ridotta a un cruccio di Bonatti/Boni da incubo (con ricostruzione della notte all’addiaccio a meno 50 con la neve panna da spot). Insomma su Bonatti, e la Podestà, se proprio volete, fateci un bel film, inerpicatevi sulle montagne, infilatevi nei pertugi di roccia con grado di difficoltà nove (tipo il documentario di Michelangelo Frammartino, Il buco), e finitela con le inquadrature svolazzanti sulla costa del Tirreno o le panoramiche su Roma. Linea Verde di Fazzuoli non c’è più, ahinoi, da un pezzo.