di Valerio Pocar
Nelle scorse settimane c’è stato un civile dibattito su una questione non nuova, se si debba cancellare la parola “razza” dal testo dell’art. 3 della Costituzione, che recita (chi legge lo sa, ma qui giova ripetere) “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Nella civile discussione alla quale facciamo riferimento, è stato dato per pacifico il concetto che la parola sia, in sé, priva di significato e non alluda a nulla, perché il progresso scientifico, segnatamente nel campo della genetica, ha dimostrato che le razze, quando si parla della specie umana, semplicemente non esistono. Egualmente, è stato dato per pacifico che i costituenti, nel sancire l’eguaglianza tra i cittadini e il divieto di discriminazioni, ritennero, pur non avendo consapevolezza dell’inesistenza delle razze, di specificare allo scopo di rifiutare con fermezza gli orrori provocati dall’ideologia razzista del nazismo e del fascismo.
Le nefandezze che tuttora e ogni dì le cronache devono registrare attestano che i razzismi, per quanto scientificamente infondati, e i razzisti, per quanto umanamente ripugnanti, ancora esistono, condivisi e numerosi, e che il concetto di razza, inconsistente dal punto di vista biologico, purtroppo non lo è affatto da quello culturale e sociale. Del resto, è opportuno ricordare che i razzismi sono nati prima dell’idea della razza e solo poi hanno inteso fondarsi sulla biologia. Questo è l’argomento più frequentemente richiamato da coloro che si dichiarano favorevoli al mantenimento nel testo costituzionale di questa ragione di distinzione, facendo propri gli intendimenti che ispirarono i costituenti. (…)
Le due posizioni, quella favorevole al mantenimento del termine e quella che suggerisce di abolirlo, hanno entrambe buoni argomenti per sostenersi. A sostegno della tesi conservativa, senza necessariamente sposarla, vorremmo aggiungere un ulteriore argomento. Ci preoccupa assai ogni tentativo di modificare il testo della prima parte della Costituzione, al quale si può aggiungere (vedi la discussione in merito all’art. 9 per introdurre la tutela dell’ambiente e della biodiversità) là dove i padri costituenti non potevano avere consapevolezza del futuro, ma non togliere, lasciando piuttosto alla prudente attività della Corte Costituzionale di raggiungere, come sinora ha fatto in modo apprezzabile, interpretazioni evolutive. Il nostro timore nasce, soprattutto, dalla constatazione che le modificazioni apportate alla seconda parte della Costituzione si sono rivelate, a parer nostro, del tutto insoddisfacenti e, anzi, senza dubbio peggiorative.
Se proprio si volesse, però, cambiare il testo costituzionale, la parola “razza”, piuttosto che cancellata, andrebbe sostituita. Per rispondere ai tentativi di discriminazione di stampo xenofobo e razzista che segnano l’ora in cui viviamo, meglio sarebbe forse dire, ma è solo un suggerimento, “senza distinzione di origine geografica, etnica e culturale”. (…)
Inoltre, un’altra revisione si renderebbe, a parer nostro, necessaria. Il testo costituzionale parla di distinzioni sulla base della religione e delle opinioni politiche. Non si comprende, se non appunto per ragioni della storia, il privilegio attribuito alla credenza religiosa, che è pur sempre un’opinione, esattamente come le altre, comprese quelle di coloro che non credono. Vogliamo sottolineare che una forma, subdola, di discriminazione consiste proprio nel fatto di riconoscere alcune opinioni come degne di maggiore attenzione rispetto ad altre. Ancora, non si comprende, se non per ragioni della storia, la sottolineatura delle opinioni politiche, anch’esse pur sempre opinioni. Un testo riveduto, se proprio lo si volesse rivedere, dovrebbe semplicemente dire “senza distinzione delle opinioni professate”. (…)
Ancora, una revisione del testo dell’art. 3 dovrebbe riguardare anzitutto proprio le sue prime parole. Secondo il testo vigente, coloro che non debbono essere discriminati per le distinzioni delle quali siamo sinora andati discorrendo sono “i cittadini”. Si pone, dunque, per godere del diritto a non essere discriminati, proprio una discriminazione, tramite un limite formale, dettato da leggi ordinarie di rango non costituzionale. In ossequio al rifiuto di ogni forma di distinzione tra gli esseri umani, tutti “cittadini del mondo”, è da pensare che riservare ai soli cittadini italiani il diritto a non essere discriminati per le ragioni elencate nell’art. 3 secondo le grette e spesso imprecise regole sulla cittadinanza giuridica – le deplorevoli vicende della legge sul cosiddetto ius soli appaiono quanto mai significative – sia un’offesa all’umanità, poiché si tratta di diritti fondamentali che spettano agli esseri umani in quanto esseri umani. Allora, si cancellino finalmente le parole “i cittadini” lasciando semplicemente la parola “tutti”. (…)