L'Europa chiede di applicare la legge del 2006, l'Italia non ha mai risposto. Adesso il premier punta a una norma che chiuda la questione, protestano Lega e Forza Italia, da sempre al fianco dei titolari degli stabilimenti (e dei loro privilegi)
Fine del tabù ‘Bolkestein’, la direttiva europea del 2006 che obbliga a bandire gare per concedere beni pubblici come le spiagge nazionali. Anche in Italia, dove su quasi 30mila concessioni demaniali marittime (con qualunque finalità), oltre 21mila hanno pagato nel 2019 un canone inferiore a 2500 euro. Lo ha ricordato l’Antitrust, a marzo scorso, in un report. Ed ora il premier Mario Draghi è intenzionato a risolvere una volta per tutte una questione mai chiusa. Di fatto se la proroga delle concessioni balneari scadute, confermata dal Decreto Rilancio del 2020, è costata a dicembre dello scorso anno una nuova lettera di messa in mora della Commissione Ue nei confronti dell’Italia, proprio l’Antitrust la scorsa primavera ha chiesto con urgenza al governo la modifica dell’attuale norma nazionale, ossia la legge di Bilancio 2019 (approvata da M5S e Lega) che ha prorogato fino al 2034 le attuali concessioni balneari, violando così la direttiva europea. Ad agitare ancora di più il settore una serie di sentenze di Tar e Consiglio di Stato con le quali i giudici hanno imposto ai sindaci di disapplicare la legge nazionale a favore di quella europea. Chiarissima: gli Stati dell’Ue devono garantire che le autorizzazioni siano rilasciate, per un periodo di tempo limitati, attraverso una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. Insomma un corto circuito che va avanti da tempo. Palazzo Chigi vuole chiudere la partita e trovare la soluzione nell’ambito della riforma della concorrenza. La consegna a Bruxelles, prima prevista entro luglio 2021, è già stata prorogata a fine settembre e, dunque, nei prossimi giorni dovrebbe partire in Consiglio dei Ministri la discussione sulle concessioni demaniali.
LE REAZIONI – E nonostante questo non significhi la messa a gara già nel 2021 (cosa poco probabile, ndr), l’alzata di scudi non si è fatta attendere e rappresenta l’ennesimo elemento di tensione all’interno del governo, nella fattispecie tra Palazzo Chigi e il centrodestra, da sempre molto attento alle istanze dei titolari degli stabilimenti balneari. In prima fila il Carroccio e Forza Italia. “Lega da sempre e per sempre contro la svendita delle spiagge, delle concessioni e del mare italiano, come vorrebbe imporre Bruxelles. Se qualche ministro Pd ci riproverà, la Lega si opporrà, ovunque e comunque” ha dichiarato nei giorni scorsi il leader della Lega, Matteo Salvini, che avrebbe voluto posticipare la discussione a dopo le amministrative, ma che potrebbe essere costretto ad accettare un compromesso. È intervenuto anche il senatore forzista Maurizio Gasparri, che un ruolo decisivo aveva avuto nel 2020 quando la proroga di 15 anni fu inserita attraverso un emendamento al decreto Rilancio del governo Conte 2, firmato dalla parlamentare Deborah Bergamini di Forza Italia e approvato in Commissione Bilancio della Camera. La Ragioneria chiese lo stralcio e Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde parlò di “una decisione che tutela privilegi e rendite inaccettabili”, dato che l’evasione dal pagamento delle concessioni all’agenzia del Demanio è pari al 50% perché lo Stato incassa solo 106 milioni di euro l’anno a fronte del fatturato di 7 miliardi di euro l’anno. Oggi, però, Gasparri non molla. “In nessuna legge sulla concorrenza saranno introdotte norme ostili alle imprese balneari e al commercio. Sono state approvate norme chiare. Il contenzioso con l’Europa non è ancora stato formalizzato e si discuterà, se mai se ne discuterà, in lustri futuri” ha detto, sostenendo che “non c’è nessuna necessità di varare norme che in Parlamento verrebbero appallottolate come carta straccia e buttate nei cestini. Se qualche tecnico di retrobottega dovesse assume iniziative che non gli competono se ne andrà a casa”. Ma per l’Antitrust la necessità c’è eccome. E mentre Salvini parla di “svendita delle spiagge”, c’è chi pensa che il vero problema sia invece un numero sempre più esiguo di spiagge libere a fronte di canoni irrisori.
SEMPRE MENO ARENILI LIBERI E CANONI IRRISORI – Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Veneto sono le regioni in cui non esiste nessuna norma che specifichi una percentuale minima di costa destinata alle spiagge libere o libere attrezzate. Come spiega Legambiente nel report Spiagge 2021, pubblicato a luglio scorso, altre regioni hanno fissato percentuali massime, ma poche sono quelle intervenute con provvedimenti davvero incisivi e con controlli a tutela della libera fruizione. Basti pensare che lungo il litorale romano, si registra il record negativo per continuità di litorale senza spiaggia libera, con un muro a Ostia che impedisce per circa 3,5 chilometri di vedere il mare e di fruirne gratuitamente. E poi c’è il nervo scoperto, appunto, della poca trasparenza dei canoni pagati per le concessioni e della non completezza dei dati per delle aree che appartengono al demanio dello Stato. Gli ultimi dati nazionali disponibili sulle entrate dello Stato sono del 2019. Per lo scorso anno, infatti, nella relazione tecnica del Decreto Agosto di risposta alla crisi pandemica, si spiega che l’ammontare è pari a 115 milioni, di cui solo 83 però effettivamente riscossi. Oltre alla differenza tra quando dovuto e effettivamente pagato, risultano ancora da versare 235 milioni di euro di canoni non pagati dal 2007. Una cosa è certa: il giro di affari degli stabilimenti balneari è stato stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui.
SPIAGGE REGALATE – Le 59 concessioni balneari del comune di Arzachena, nella Costa Smeralda, invece, nel 2020 hanno pagato allo Stato, complessivamente, un canone di 19mila euro l’anno. Significa circa 322 euro ciascuna per un intero anno, meno dei 400 euro giornalieri richiesti per un ombrellone con 2 lettini all’Hotel Romazzino di Porto Cervo. All’Hotel Cala di Volpe di Porto Cervo, invece, soggiornare una notte nella suite costa 35mila euro, ma per l’utilizzo esclusivo della spiaggia, la società Smeralda Holding, di proprietà dell’emiro del Qatar, paga allo Stato italiano un canone di 520 euro all’anno. C’è chi pensa che questo significhi “svendere”. Come il sindaco di Arzachena che, come raccontato nell’inchiesta di FQ Millennium di giugno ‘Spiagge Regalate. E i sindaci si ribellano’, si è rifiutato di prorogare per 15 anni le concessioni su demanio marittimo e ha subito attacchi da Federbalneari e poi dalla stessa Regione Sardegna, che ha commissariato i Comuni togliendo loro la competenza sulle concessioni. Ma che ci sia qualcosa che non va lo sa bene anche Flavio Briatore, proprietario del Twiga Club di Marina di Pietrasanta, in Versilia, lo stabilimento con discoteca e ristorante con il posto in spiaggia più costoso. Mille euro al giorno per il Presidential Gazebo (2 letti marocchini, tavolo centrale, 4 lettini con possibilità di avere tv e musica). “Dovrei pagare almeno 100mila euro” ha detto Briatore in un’intervista al Corriere. Invece, a fronte di un fatturato da quattro milioni di euro l’anno, il Twiga restituisce allo Stato un canone di 17.619 euro all’anno.