Avete presente quei palazzi in ristrutturazione che vengono coperti da teloni su cui viene riportata la sagoma dell’edificio? Dentro la costruzione puoi fare quello che facevi prima ma da fuori non vedi nulla, salvo le poche aperture nel telone stesso.
Da quasi un anno la mia pagina Facebook ha subito la stessa sorte. È stata “recintata”, resa pressoché invisibile o di difficile consultazione anche alle 43mila persone che nel corso degli anni avevano deciso di seguirla. Il messaggio che mi compare quando apro la pagina è: “You can’t invite friends to like your page right now. Because this page went against our Community Standards, we’ve temporarily limited what actions you can take” e segue un “see violations”. Sapete perché mi hanno punito?
Perché ho messo per due volte post a favore del popolo curdo e del suo leader Abdullah Ocalan ingiustamente in prigione. Questi due post sono stati considerati contrari alle regole della comunità e visto che la “punizione” va avanti da 8 mesi credo che siano stati considerati gravi. In altre parole visto che Ocalan è stato seppellito in una prigione dal democraticissimo governo turco e considerato un terrorista da Erdogan e dai suoi amici, sono stato “recintato” da Facebook.
Alla faccia della democrazia della rete, con questa privatizzazione della comunicazione siamo tornati all’Ottocento, quando non c’era la libertà di stampa. Infatti, secondo i padroni di Fb, battersi per la libertà del leader curdo è censurabile e deve essere proibito. Con lo stesso criterio non avremmo potuto batterci su Fb per la libertà di Nelson Mandela o per quella di Silvia Baraldini. In altri termini la libertà, secondo il padrone di Fb Mark Zuckerberg, significa glorificare l’esistente. Provando a cambiarlo si rischia di incappare nella censura.
Per certi versi siamo peggio dell’Ottocento perché almeno allora era chiaro che la libertà di stampa non c’era. Invece oggi la rete viene magnificata come il massimo della libertà e, nella misura in cui non disturbi il manovratore, nessuno ti infastidisce. Se poi invece fuoriesci dalle “regole” semplicemente vieni oscurato, sparisci dalla “Community”, senza che gli altri ne sappiano nulla. Certo meglio una sparizione virtuale di quelle fisiche ipotizzate da George Orwell e praticate dai generali argentini, ma certo la cosa è inquietante.
Questa vicenda evidenzia come vi sia un enorme problema di democrazia e come sia necessario rendere pubblica la rete e la gestione dell’informazione. Non è possibile che i padroni dei Social – come i padroni delle miniere del Far West – facciano il bello e il cattivo tempo, in condizioni di monopolio, non solo sull’utilizzo dei nostri dati ma anche sulla possibilità di escluderci. Qualcuno dirà che le regole della Community servono a bloccare i nazisti o coloro che diffondono fake news, come Donald Trump. Bene. Qualcuno sa dirmi cosa c’entra Ocalan con Hitler? Cosa c’entra la lotta per la libertà del popolo kurdo con le fake news? Chi può decidere su questi nodi? I padroni della rete?
È evidente che la proprietà privata di questi immensi monopoli della socializzazione e in definitiva dell’informazione costituiscono una minaccia alla democrazia e solo una pubblicizzazione della proprietà e delle regole democratiche su scala globale può permettere alla rete di sviluppare le sue potenzialità democratiche.
Ho deciso di rendere pubblica questa vergognosa situazione di censura e invito tutti i democratici e tutti i mezzi di comunicazione a protestare contro questi soprusi perché non sono il solo ad aver subito una censura a causa del sostegno della causa del popolo curdo: quello che capita a me, che ho fatto il ministro del governo italiano, il deputato, il segretario di Rifondazione Comunista e che sono vicepresidente del Partito della Sinistra Europea, capita ogni giorno, nel silenzio più totale a centinaia di persone che si battono per la libertà e la giustizia. È una vergogna che deve essere denunciata! E colgo l’occasione, qui che posso farlo, per esprimere tutto il mio sostegno al compagno Ocalan e alla lotta del popolo curdo!