“Abbiamo lavorato e finalmente possiamo dire: ce l’abbiamo fatta”: ha commentato così la vittoria alle elezioni in Norvegia il leader del partito laburista, Jonas Gahr Støre. “Il lavoro del governo conservatore è finito per questa volta”, ha dichiarato l’ex premier Erna Solberg – al governo dal 2013 -, congratulandosi con Støre e accogliendo i ringraziamenti per gli 8 anni alla guida del Paese.
Il voto nel Paese scandinavo ha consegnato una solida maggioranza – 89 seggi sui 169 del Parlamento di Oslo – all’alleanza di centrosinistra, composta da laburisti, partito di Centro – sostenuto dagli agrari ed euroscettico – e socialisti di sinistra. Tuttavia non sono esclusi cambi di posizione o allargamenti della coalizione: così l’entusiasmo per la vittoria è stato sin dalle prime ore mediato dalle difficoltà nei colloqui che affronteranno i tre gruppi. I nodi fondamentali restano i rapporti con l’Unione Europea – di cui non fa parte – e l’adesione al suo sistema economico, osteggiato dai centristi, la proprietà privata e la questione ambientale. I negoziati all’interno del nuovo governo influenzeranno infatti la politica climatica del primo produttore di petrolio e gas dell’Europa Occidentale.
Ad agosto il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite aveva pubblicato un duro avvertimento indirizzato alla Norvegia sui cambiamenti climatici e il riscaldamento globale causati dall’industria dei combustibili fossili. Sia il partito conservatore sia i laburisti sostengono un abbandono graduale dell’energia legata al petrolio e al gas. Støre e i suoi non possono però trascurare l’impatto sociale ed economico della chiusura di un comparto che rappresenta il 14 per cento del Pil nazionale, il 40 per cento delle esportazioni e fornisce 160mila posti di lavoro diretti, – il 7 per cento del totale.
Nella coalizione uscite vincente dal voto, secondo gli osservatori, le fratture più significative riguardano in particolare le esplorazioni petrolifere nei mari. I socialisti si oppongono fortemente, gli altri sono più favorevoli a un compromesso, che escluda solamente alcune porzioni dell’Oceano Artico. I Verdi – forza marginale nel Parlamento, che però ha ingaggiato un tira e molla con il leader laburista – vorrebbero poi l’interruzione di tutta la produzione entro il 2035. Il primo ministro eletto però ha affermato che il suo governo si concentrerà sulla riduzione delle emissioni di CO2 in linea con l’accordo di Parigi del 2015, ma rifiutando qualsiasi ultimatum sulla politica energetica, anche se la Norvegia avrebbe le potenzialità di diventare uno dei principali sostenitori dell’energia verde, generando attraverso il settore idroelettrico quasi il 95% della sua elettricità. Una missione complessa, ma non impossibile e già intrapresa dalla Danimarca che si è impegnata in massicci investimenti sull’energia sostenibile e nel blocco delle esplorazioni e della produzione di tutti i combustibili fossili entro il 2050.