Lo scienziato: "Diciamo che bisogna vedere la parte positiva: oggi siamo in grado rispetto al passato di fare monitoraggio che ci permette di valutare nel tempo l'andamento di queste varianti che sono un fatto assolutamente normale e lo sono in particolare per virus come il coronavirus"
“Altamente resistenti” sia agli anticorpi generati dall’infezione naturale con il virus originario, quello di Wuhan, sia a quella indotti dai vaccini secondo uno studio giapponese pubblicato da una rivista pre-print lo scorso 7 settembre. Ma sulla variante Mu (B.1.621) e la sua versione avanzata (B.1.621.1), come comunicato dall’Agenzia europea del farmaco (Ema) non esistono ancora dati che possano far pensare che si stia diffondendo in vasta scala o che ci sia la possibilità che superi la contagiosissima variante Delta come ceppo dominante. La mutazione in questione è stata identificata per la prima volta in Colombia – dove ha provocato un enorme aumento di contagi – l’11 gennaio 2021 ed è “potenzialmente preoccupante” perché “potrebbe mostrare un potenziale rischio di fuga immunitaria”. La mutazione è presente in 39 Paesi tra cui l’Italia ed è stata classificata fra le Varianti di interesse (Voi) dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) il 30 agosto scorso. Abbiamo chiesto al virologo, Fabrizio Pregliasco, quanto può essere considerata pericolosa la mutazione.
“La variante Mu cosiddetta di interesse è nel secondo livello di classificazione delle varianti rispetto alla pericolosità. Le quattro principali sono dalla Alfa alla Delta e sono le più preoccupanti. È sicuramente da tenere sotto osservazione, è nata in Colombia ma rilevata già in giro per il mondo, anche in Italia in un focolaio di persone che arrivavano da lì – spiega lo scienziato -. Ha una molteplicità di cambiamenti nella sequenza genomica nei punti importanti che ci fanno dire, ma dobbiamo averne conferma, che possa sfuggire alla risposta anticorpale dei vaccini attualmente disponibili”. Ma come abbiamo imparato in questi mesi di pandemia il vaccino può essere aggiornato e calibrato da chi lo ha sviluppato la prima volta.
Ma non c’è solo questo aspetto confortante. “Diciamo che bisogna vedere la parte positiva: oggi siamo in grado rispetto al passato di fare monitoraggio che ci permette di valutare nel tempo l’andamento di queste varianti che sono un fatto assolutamente normale e lo sono in particolare per virus come il coronavirus o il virus dell’influenza perché hanno meno meccanismi di controllo nella replicazione – aggiunge Pregliasco -. Quindi commettono molti errori e grazie alla loro diffusività e alla gran quota di infezioni possono permettersi di provare variazioni sul tema e quindi attuare quel principio darwiniano dell’evoluzione che è quello del caso e della necessità”. Bisogna ricordarsi che il virus ha bisogno di ospiti, senza sparirebbe. “Questi errori replicativi mettono nell’ambiente variazioni che, se sono vantaggiose e con la variante Delta lo abbiamo visto, procedono. Chiaro che le variazioni del virus sono piuttosto casuali verso un peggioramento e la Delta è più contagiosa ma per questo più vantaggiosa per il virus. La tendenza dei virus è di essere parassiti che sfruttano al meglio l’ospite, di gestirlo nel modo più benevolo“.
La resistenza agli anticorpi naturali e quelli da vaccino – in attesa di ulteriori dati e ricerche – è stata ipotizzata in una analisi coordinata dagli scienziati giapponesi e pubblicata sul sito bioRxiv. “Dimostriamo che la variante Mu è altamente resistente sia ai sieri dei convalescenti, sia a quelli degli individui vaccinati con BNT162b2”, ossia il vaccino Cominarty della Pfizer, scrivono i ricercatori giapponesi, coordinati da Keiya Uriu e Izumi Kimura, entrambi dell’Università di Tokyo. In particolare si è osservato che la variante Mu è 12,4 volte più resistente rispetto ai sieri dei convalescenti e 7,5 volte rispetto a quelli degli individui vaccinati. “I nostri risultati aiuteranno a valutare meglio il rischio posto dalla variante Mu sia per i vaccinati sia per coloro che hanno avuto l’infezione, come per la popolazione mai esposta al virus SarsCoV2”. Le altre varianti a confronto sono naturalmente Delta, Gamma e Lamba.
I test he hanno permesso di giungere a queste conclusioni sono stati condotti utilizzando la tecnica degli pseudovirus, spiega il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. “È stata cioè utilizzata solo la proteina Spike della variante Mu e delle altre varianti con le quali è stata confrontata. In questo modo si evita di utilizzare il virus intero, che sarebbe pericoloso”, ha osservato l’esperto. Questo ha permesso di calcolare la resistenza della variante verso gli anticorpi naturali e quelli indotti dai vaccini e di capire, ha detto ancora Broccolo, “che le mutazioni che rendono particolarmente aggressiva la variante Mu sono otto. Fra queste si notano la E484K, la stessa presenti nelle varianti Beta e Gamma, la N501Y presente anche nell’Alfa e la D950N, presente nella Delta”. Di queste mutazioni, prosegue, “la più importante, che sembra ridurre la sensibilità a vaccini e anticorpi, è E484K, individuate nelle due varianti più temute per la capacità di eludere i vaccini”.