Quattro ergastoli per rimediare a una sentenza che “si è persa per strada“. È la richiesta di condanna dei pubblici ministeri Lucia Musti e Beatrice Ronchi alla Corte d’appello di Bologna per gli accusati dei due eclatanti omicidi di mafia commessi a Reggio Emilia nel settembre e nell’ottobre 1992. Morirono Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero, 33 e 35 anni, vittime di una guerra per il controllo del territorio che causò decine di vittime tra Emilia, Lombardia e Calabria. I due ‘ndranghetisti, originari di Cutro ed entrambi agli arresti domiciliari, furono raggiunti da commando armati agli ordini delle famiglie Dragone, Arena, Ciampà e Grande Aracri, i potenti clan che avevano colonizzato con le loro attività illecite le province a ridosso del fiume Po. Nicola Vasapollo venne ucciso in pieno giorno alla periferia di Reggio Emilia, Giuseppe Ruggiero in piena notte a Brescello, dopo aver aperto la porta a due presunti Carabinieri che in realtà erano killer travestiti.

Per quei due omicidi di mafia si è riaperto il processo a quasi trent’anni di distanza, grazie alle dichiarazioni rese in aula dai collaboratori di giustizia nel processo Aemilia. Imputati sono Antonio Lerose, Antonio Ciampà detto “Coniglio”, Angelo Greco e Nicolino Grande Aracri detto “Mano di gomma”: quest’ultimo è il boss che dal 2004 ha preso il controllo assoluto delle attività mafiose nel territorio, dopo aver fatto uccidere l’amico/rivale Antonio Dragone. Nicolino è anche l’unico condannato all’ergastolo – e per il solo omicidio Vasapollo – dalla sentenza pronunciata in primo grado dalla Corte d’assise di Reggio Emilia il 2 ottobre 2020. Gli altri sono andati assolti per “non aver commesso il fatto”. La voluminosa richiesta d’appello presentata dalla Procura generale ha cercato di smontare quella sentenza, parlando di “travisamenti, errori e imprecisioni”: e giovedì in Corte d’Appello le sostitute Ronchi e Musti hanno usato termini ancora più severi nelle proprie requisitorie. I giudici di primo grado “si sono persi per strada”, hanno detto, e “hanno omesso di valutare elementi decisivi” forniti dai collaboratori di giustizia, in particolare da Antonio Valerio e Angelo Salvatore Cortese (ascoltati nuovamente anche in Appello), nelle cui dichiarazioni, secondo l’accusa, si riscontra assoluta convergenza in merito alle responsabilità degli imputati.

Vasapollo e Ruggiero erano gli astri nascenti al Nord delle due famiglie di ‘ndrangheta che avevano architettato di prendere il sopravvento in Emilia-Romagna, spendendo decine di milioni di lire per armarsi e assoldando il killer per antonomasia Paolo Bellini, terrorista nero ora a processo anche per la strage di Bologna. Fu lui, nell’agosto del 1992, a uccidere a Cutro Paolino Lagrotteria, protetto dei Ciampà, accusato di avere abbandonato l’amico Giuseppe Vasapollo – fratello di Nicola – a bruciare vivo in un night a Reggio Emilia 13 anni prima, dopo che i due avevano dato fuoco al locale. Bellini arrivò nel paese il giorno precedente il matrimonio di Stella Ciampà, cugina dell’imputato Antonio Coniglio: picchiò la moglie di Lagrotteria e le strappò la collana dopo averle ucciso il marito. Durante il processo d’Appello, proprio su quell’episodio è tornato Nicolino Grande Aracri, collegato in videoconferenza, chiedendo alla Corte di ascoltare in aula proprio la moglie dell’assassinato, richiesta rifiutata dai giudici.

Quella morte, nell’estate del 1992, rappresentò per le famiglie unite uno sfregio da vendicare, e si aggiunse alle tante altre ragioni economiche e di potere che portarono – nell’autunno successivo – a una resa dei conti violentissima, tanto al Sud quanto al Nord, finanziata dagli Arena e dai Dragone, dai Ciampà e Dai Grande Aracri. Prima di Vasapollo e Ruggiero, a settembre dello stesso anno, venne ucciso a Cremona Dramore Ruggiero, fratello di Rosario detto “Tre dita”, già ammazzato a Cutro. Una settimana dopo un altro morto, di nuovo nella città del Crotonese: Marcello Galdini detto Ponghino, un protetto dei Ruggiero. Poi i due omicidi di Reggio Emilia oggi a processo. La data scelta per il primo, quello di Nicola Vasapollo, non fu casuale, perché proprio il 21 settembre 1979 era morto bruciato suo fratello Giuseppe. Un anniversario celebrato 13 anni dopo col massimo sfregio possibile: un nuovo omicidio. La Corte d’assise d’appello di Bologna, presieduta dal giudice Orazio Pescatore, ascolterà la settimana prossima le arringhe difensive dei quattro imputati, poi si ritirerà in Camera di Consiglio. La sentenza è attesa per il 30 settembre.

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