La nuova intesa è stata annunciata dai tre presidenti Joe Biden, Scott Morrison e Boris Johnson in una videoconferenza stampa congiunta. Lo scopo è limitare l'influenza cinese nell'area indo-pacifica, dotando l'Australia (settimo Paese al mondo) di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare prodotti nel Regno Unito. Così il governo di Canberra annulla un contratto miliardario con la Francia, che attacca Biden: "La sua politica è brutale, alla Trump"
Stati Uniti, Australia e Regno Unito saranno uniti da un nuovo patto militare, chiamato Aukus. Lo hanno annunciato mercoledì sera i tre presidenti Joe Biden, Scott Morrison e Boris Johnson in una videoconferenza stampa congiunta. I primi colloqui in vista dell’intesa, spiegano fonti britanniche, sono iniziati a marzo 2021: lo scopo dichiarato è di mantenere “libera e aperta” l’area dell’indo-pacifico, ma in molti la leggono come un chiaro tentativo di limitare l’influenza della Cina. La prima ricaduta immediata dell’accordo, infatti, è un piano da sviluppare in 18 mesi per dotare la flotta australiana (Royal Australian Navy) di sottomarini a propulsione nucleare, il che renderà l’Australia la settima nazione al mondo a possedere questo tipo di armamento. A guidare le operazioni saranno due giganti dell’industria britannica: la Rolls-Royce, azienda leader dell’automobilismo di lusso, e la società del settore aerospaziale BAE Systems. Una novità deleteria per la Francia, che ha definito Aukus “una pugnalata alle spalle”: data la nuova situazione, infatti, il governo di Canberra ha messo fine a un contratto con il Naval Group di Parigi per la costruzione di sottomarini a propulsione nucleare del valore di più di 66 miliardi di dollari (31 miliardi di euro). Le preoccupazioni internazionali sul nuovo arsenale australiano, però, riguardano anche il pericoloso precedente sull’uso di quantità di uranio arricchito – necessario per alimentare i mezzi – che non sarebbe sottoposto ai controlli degli organi internazionali.
La partnership Usa-Uk-Australia – ha spiegato in una nota la Casa Bianca – avrà al centro “l’integrazione delle catene di sicurezza e difesa, la condivisione di informazioni, scienza e tecnologia, le cyber capacità e l‘intelligenza artificiale” per garantire la stabilità degli equilibri nell’indo-pacifico e “affrontare insieme il ventunesimo secolo e le sue minacce”. Nel testo dell’accordo, così come nei discorsi tenuti dai tre leader, non viene mai nominata la Cina. Già lo scorso giugno, però – nel suo viaggio in Europa – Joe Biden non aveva avuto esitazioni a chiedere collaborazione per arginare lo strapotere di Pechino. A preoccuparlo era l’aggressività di Pechino nel mar Cinese meridionale, nelle acque delle Filippine e nello stretto di Taiwan, l’isola cinese che da sempre non riconosce il dominio formale dello Stato continentale. A luglio poi, l’arrivo nella zona della portaerei britannica Queen Elizabeth aveva alzato ulteriormente la tensione. L’energia nucleare consentirà agli innovativi sottomarini d’attacco di rimanere in mare fino a 5 mesi e di operare in modo più silenzioso rispetto alle navi diesel della classe Collins – prodotte anche con il sostegno francese – eludendo così le rilevazioni nemiche. Rimane però aperte la questione sulla materia prima necessaria per la propulsione, cioè l’uranio arricchito. I tre firmatari dell’accordo – secondo alcune ipotesi – saranno costretti a limitare l’attività di alcuni dei propri reattori, spostando il materiale fissile sulla catena produttiva. Camberra sembra intenzionata ad arricchire il proprio arsenale, acquistando dagli Stati Uniti anche una serie di missili da crociera Tomahawk a lungo raggio, per rafforzare le proprie difese militari. “Miglioreremo la nostra capacità di attacco”, ha commentato soddisfatto il premier Morrison. “Per più di 70 anni, Australia, Regno Unito e Stati Uniti hanno lavorato insieme per proteggere i nostri valori condivisi e promuovere la sicurezza e la prosperità. Oggi, con la formazione di Aukus, ci impegniamo nuovamente in questa visione”.
In linea teorica, il patto avrebbe potuto benissimo non coinvolgere il Regno Unito. L’ultimo trattato tra Washington e Londra sul trasferimento di tecnologia sensibile risaliva infatti al 1958: un caso, più unico che raro, in cui gli Usa avevano aiutato gli inglesi ad avviare la creazione della loro flotta di sottomarini nucleari. Boris Johnson però avrebbe insistito per inserirsi, impegnandosi a “mediare tutte le questioni critiche” della nuova partnership. Questo dovrebbe essere il primo passo della politica estera del Paese dopo Brexit e della restaurazione della “Great Great Britain“, un Regno Unito di nuovo centrale negli equilibri mondiali. Il nuovo patto può inoltre aiutare a superare l’impasse nei rapporti con gli Stati Uniti dovuta al disastroso ritiro delle truppe in Afghanistan. Non a caso, l’annuncio è arrivato subito dopo il rimpasto del governo britannico e la sostituzione del criticato ministro degli esteri Dominic Raab. Durante la videoconferenza, Johnson ha affermato che i tre stati sono “alleati naturali”, nonostante la distanza geografica, e che il nuovo accordo di difesa “rappresenta un pilastro del nuovo centro geopolitico mondiale” e “creerà posti di lavoro e prosperità”. Le reazioni degli altri governi non si sono fatte attendere. Grandi assenti dell’intesa sono infatti le altre due forze della zona, il Giappone e la Nuova Zelanda. Proprio la prima ministra, Jacinda Ardern, ha specificato che Aukus “non cambia in alcun modo” gli accordi di intelligence esistenti con le tre nazioni o con il Canada, quinto membro dell’altro collettivo di sorveglianza sul Pacifico, Five Eyes. Wellington, inoltre, non revocherà il divieto decennale per le navi a propulsione nucleare – come quelle che svilupperà l’Australia – di entrare nelle proprie acque.
Le polemiche più feroci sono però arrivate dalla Francia. Già dal 2016, infatti, l’Australia aveva chiuso con il Naval Group – un appaltatore del governo di Parigi – un contratto da 31 miliardi di euro per la costruzione di sottomarini nucleari . La consegna del primo mezzo, lo Shortfin Barracuda da 97 metri, era prevista per il 2027. I ministri francesi degli Esteri e della Difesa, Jean-Yves Le Drian e Florence Parly, hanno definito deplorevole la decisione di Australia e Usa: “La scelta americana, che porta a rimuovere un alleato e un partner europeo come la Francia da una partnership di lunga data con l’Australia, mentre ci troviamo di fronte a sfide senza precedenti nella regione indo-pacifica, segna una mancanza di coerenza di cui non possiamo che rammaricarci”. E attaccano Biden definendo la sua politica “brutale“, addirittira “alla Trump“. “Un sottomarino a propulsione nucleare sarebbe stato molto più facile da offrire per la Francia poiché tutti i suoi sottomarini sono alimentati a energia nucleare”- ha commentato in un tweet di disappunto l’ex ambasciatore francese negli Stati Uniti, Gérard Araud – La difficoltà era proprio quella di convertire i propulsori nucleari in navi a propulsione convenzionale“. Ma gli australiani – fa sapare Naval Group – non hanno voluto “avviare la fase seguente del programma e questo ha rappresentato una grande delusione“.
The world is a jungle. France has just been reminded this bitter truth by the way the US and the UK have stabbed her in the back in Australia. C’est la vie.
— Gérard Araud (@GerardAraud) September 15, 2021
Morrison si è giustificato spiegando che già da giugno aveva manifestato l’intenzione di sfilarsi dall’accordo al presidente francese Emmanuel Macron, ma che comunque i 2,4 miliardi di dollari pagati alla Francia non sono stati uno spreco: sono stati un primo passo per “proteggere gli interessi di sicurezza nazionale dell’Australia”. L’entusiasmo del primo ministro non viene però sposato da tutti: l’accordo significherà – secondo l’ex premier Paul Keating – una “drammatica perdita della sovranità nazionale e di qualsiasi libertà o scelta in qualsiasi impegno ritenga prossimamente opportuno”, per esempio quello di rattoppare i travagliati rapporti con la Cina. Giovedì scorso Scott Morrison aveva proposto un colloquio al leader cinese, Xi Jinping, per discutere i problemi dell’area e arginare il peggioramento delle relazioni commerciali tra i due Stati. Le comunicazioni tra i due governi sono però al momento congelati. Per il portavoce dell’ambasciata di Pechino a Washington, Liu Pengyu, gli Stati “non dovrebbero costruire blocchi esclusivi lesivi degli interessi di terzi e dovrebbero liberarsi della loro mentalità da guerra fredda e dei loro pregiudizi ideologici”. Rincara il ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian: “Aukus minaccia la stabilità dell’Indo-Pacifico al posto di garantirla e provoca una corsa alle armi. Pertanto è un atto estremamente irresponsabile”. L’iniziativa, spiega, vanifica “gli sforzi di non proliferazione a livello internazionale“.
Questo timore non è soltanto del governo cinese. Non sono valse a nulla le rassicurazioni di Morrison sull’adesione dell’Australia “ai più alti standard di salvaguardia, trasparenza, verifica e misure contabili per la non proliferazione, la sicurezza e la protezione del materiale e della tecnologia nucleare“. Molti infatti sostengono che Aukus costituisce un pericoloso precedente per consentire agli Stati di sfruttare scappatoie dagli impegni sul nucleare: il patto australiano consente infatti ai paesi non dotati di armi nucleari di rimuovere il materiale fissile – usato per i reattori sottomarini – dalle scorte monitorate dall’organismo di controllo globale, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Il precedente – afferma James Acton, co-presidente del programma di politica nucleare presso il Carnegie Endowment for International Peace – potrebbe spingere Staticome l’Iran a pericolose emulazioni: spostando l’uranio arricchito sull’alimentazione di mezzi bellici, potrebbe usarlo di fatto per creare delle vere e proprie armi atomiche, senza controlli internazionali. Domani anche la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen – all’oscuro dell’alleanza fino all’annuncio ufficiale di ieri – sfruttando una discussione organizzata dalla diplomazia Usa su ambiente e clima, parlerà con Joe Biden per cercare di chiarire meglio la posizione dei tre firmatari dell’accordo. Il tema sarà probabilmente anche sul tavolo del prossimo Consiglio Esteri dell’Unione Europea.