Prosegue la saga Facebook-Wall Street Journal giunta alla terza puntata. Il quotidiano newyorkese ha avuto accesso ad una serie di documenti interni del gruppo di Mark Zuckerberg da cui emergono comportamenti dell’azienda diametralmente opposti a quanto dichiarato pubblicamente. Si è scoperta l’esistenza di una “lista vip” a cui il social consente e ha consentito di pubblicare, senza conseguenze, qualsiasi tipo di contenuto offensivo. È emersa la conoscenza da parte della società dei danni che l’utilizzo dell’ app Instagram (comprata da Facebook nel 2012) provoca sulla psiche degli utenti più giovani. Elementi che la Facebook ha occultato o minimizzato. L’ultima rivelazione riguarda il modo con cui la piattaforma spinge sulla condivisione dei post più aggressivi e offensivi. Con una ragione molto semplice: post di questo tipo aumentano il traffico e il tempo che gli utenti passano sul social. Quindi fanno crescere gli introiti pubblicitari.
Il cambio di rotta è avvenuto nel 2018 quando Facebook ha messo mano al suo algoritmo per contrastare un pericoloso calo di traffico e utenti. Poco dopo Jonah Peretti, amministratore delegato del sito di notizie BuzzFeed, ha scritto alla dirigenza di Facebook per segnalare come uno dei contenuti più delicati pubblicati dal suo sito, riguardante affermazioni politicamente scorrette espresse dai bianchi nei confronti neri, stesse diventando virale e avesse raccolto più di 60mila commenti, in molti casi oltraggiosi. In questo modo si instaurava una sorta di circolo vizioso, l’algoritmo di Facebook privilegiava contenuti carichi di rabbia e questo induceva l’algoritmo usato da NewsFeed a incentivare la produzione di questo tipo. Secondo Peretti il balzo di questo tipo di notizie e/o approfondimenti non poteva che essere dovuto ad un cambiamento apportato da Facebook al suo software.
Il fondatore Mark Zuckerberg, ha replicato affermando che l’obiettivo della modifica all’algoritmo era quello di rafforzare i legami tra gli utenti e migliorare il loro benessere incoraggiando le persone a interagire di più con amici e familiari e a trascorrere meno tempo consumando passivamente contenuti prodotti professionalmente. I documenti visionati dal Wall Street Journal mostrano però come, in realtà, la società perseguisse l’obiettivo diametralmente opposto. Non solo. Il team di Facebook incaricato di migliorare la qualità e l’affidabilità dei contenuti avevano sottoposto a Zuckerberg una serie di modifiche pensate per frenare la tendenza dell’algoritmo a premiare indignazione e notizie false in grado di alimentare dibattiti infuocati. Il fondatore del social ha però rifiutato queste opzioni nel timore che potessero far diminuire utenti e click.
La revisione dell’algoritmo è stata infatti decisa dopo che il social stava perdendo commenti e condivisione. Una tendenza da cui erano esclusi solo i contenuti più discutibili. Da qui la scelta di aumentarne la rilevanza. Questo avrebbe indotto editori e soggetti politici a produrre contenuti più aggressivi con il risultato che i ricercatori di Facebook riassumono così nelle loro note interne “Disinformazione, tossicità e contenuti violenti sono troppo preponderanti tra le ricondivisioni. Il nuovo approccio ha avuto effetti collaterali dannosi su importanti porzioni di contenuti pubblici, come la politica e le notizie”. “Molti partiti compresi quelli che hanno sposato questa linea sono preoccupati per gli effetti a lungo termine sui sistemi democratici”, si legge ancora nei commenti della società. In un’intervista, il vicepresidente di Facebook Lars Backstrom ha affermato che qualsiasi algoritmo rischia di promuovere contenuti discutibili o dannosi per alcuni utenti. “Come qualsiasi forma di indicizzazione ci saranno alcuni modi in cui verrà sfruttata e di cui ci si potrà avvantaggiare. Ecco perché abbiamo un apposito team di integrità che sta cercando di mitigare gli effetti nel miglior modo possibile”. A Zuckerberg piacendo, naturalmente.