Mia cara, quando ho ascoltato le tue parole giuro che sono stata un po’ felice. Felice di sapere che mi ricordi mia nonna e le tante madri che ho conosciuto in una Sicilia che ora immagino fosse decisamente all’avanguardia per essere alla tua altezza.
Mia nonna mi diceva “occhi ‘nterra e muru muru” (occhi bassi e rasente al muro) quando uscivo di casa e lei sapeva di quanti pericoli altrimenti avrei corso. Non bisogna mai andare in giro con la testa alta, lo sguardo fiero, come di chi vuole decisamente provocare la reazione di uomini tanto delicati da sentirsi subito minacciati da atteggiamenti simili. E non bisogna porgere il corpo in posizione di centralità, passeggiando, perché potrebbe apparire un invito al tocco, quel dannato tocco cui certi uomini non sanno resistere. Se ti esponi troppo basta un niente e ti ritrovi una mano sul culo o sul seno a constatare la tua femminea voluttà.
Quando l’uomo di casa tirava su il pugno minaccioso mia madre diceva “tu sei troppo risputera“ (rispondi troppo!), perché se un Lui accenna un qualunque insulto alla tua intelligenza non bisogna mai replicare, rispondere a tono, altrimenti noi femmine mostriamo di essere aggressive, troppo provocatorie e “ce le chiamiamo” le legnate. Infatti io di legnate me ne sono chiamate parecchie ma non è di questo che voglio parlare. Voglio raccontare di questi gioiosi ricordi che mi ha risvegliato il tuo monologo.
Quando il figlio della vicina di casa provò a mettermi al muro per farmi immagina tu cosa e io riuscii a sfuggirgli allora lei, la vicina, disse a mia madre che avevo dimostrato di essere una ragazza seria. “Sembra tutta disponibile perché è troppo socievole, ma è timida”, così disse. E sono cresciuta con la convinzione che quello fosse un complimento, tu pensa!
La socievolezza indice di disponibilità deve essere stata visibile sul mio corpo per molto tempo perché quando dissi a mia nonna che un ragazzino mi aveva intrappolata, tirandomi i capelli, per poi appiopparmi la sua lingua vischiosa sulla faccia, lei rispose che una donna che si rispetti deve essere dura e quasi arcigna nell’espressione, un po’ vecchia strega delle favole, per capirci, così da non trasmettere questo senso di sicurezza a coloro i quali vogliono approfittarsi di te.
E quando sono salita sul motorino di un compagno di scuola, con l’offerta di un passaggio da un luogo all’altro, e lui invece mi trascinò in un bosco con amichetti pronti a farmi vedere quanto fossero giusti e forti, non fui in grado di dire niente né a mia nonna né a mia madre o mio padre perché mi avrebbero detto che era tutta colpa mia. Perché qualunque cosa facessi o dicessi, in vita mia, dato che ero nata con una vagina in mezzo alle cosce, sarebbe stata certamente colpa mia.
Poi arrivò il momento in cui il mio ex mi trasformò la faccia in un cumulo di lividi e sua madre disse che era perché “rispondevo” e ancora non capivo perché non avrei dovuto dare risposte quando mi si ponevano domande. E giuro che questa cosa mi ha messo in difficoltà per tutta la vita. Come fossimo addestrate a far parte dei servizi segreti. Mai rispondere neanche sotto tortura.
Potrei raccontarne molte altre ma lascio che ti dicano tutte le donne di cui sulla pagina facebook di “Abbatto i Muri” stiamo raccogliendo le storie per una campagna che putacaso si chiama proprio #tuttacolpamia perché tu sappia che sì, certo, siamo consapevoli di questa colpa che ci portiamo dietro fin da quando Eva raccolse quella dannata mela e la mangiò. Mai mangiare un frutto anche se stai crepando di fame.
Perciò, cara Palombelli, ti ringrazio e ringrazio quelle come te che hanno collaborato ampiamente alla costruzione di una cultura che ci rende più sicure e protette, più capaci di girare per le strade senza armi di distruzione di massa e più consapevoli del fatto che se un uomo ci picchia e infine ci uccide è perché ce la siamo cercata. In fondo, cara, potevamo starcene in silenzio, occhi n’terra e muri muru, per l’appunto. O no?