È come se si fossero dimenticati di loro. La storia di Alem Tesfay Abraham, 42 anni, e Kibrom Adhanom, 37 anni, ha davvero dell’incredibile: dopo 7 e 9 anni di ingiusta detenzione in un carcere del Cairo, su di loro incombe la deportazione nel Paese d’origine dove rischiano una condanna a morte per diserzione dal servizio militare. Come in un beffardo gioco dell’oca, i due rischiano di tornare all’origine del loro viaggio della speranza, fallito miseramente e trasformatosi in un incubo. Il virgolettato potrebbe essere ironicamente – anche se c’è poco da essere ironici in questa storia – attribuito all’establishment egiziano, reo e compartecipe di due drammi umani. Abraham e Adhanom sono di nazionalità eritrea, tra il 2012 e il 2014 sono stati arrestati e buttati dentro una prigione con l’accusa di immigrazione clandestina: “Di solito, in Egitto, gli irregolari, una volta fermati vengono presentati davanti a un tribunale militare, condannati con la pena sospesa e poi rilasciati, avendo la possibilità di richiedere asilo. Una procedura lunga e spesso infruttuosa, ma che quanto meno consente loro di tornare in libertà e di avere delle chance. I due eritrei non sono neppure stati processati, per loro si sono aperte le porte di una cella del carcere di Qanater (dove ha sede anche la prigione femminile, ndr.), sezione stranieri, e da allora sono rimasti a marcire lì dentro”. A parlare è un avvocato del Cairo che sta seguendo la vicenda dei due eritrei da alcuni mesi su mandato della comunità eritrea al Cairo. Il legale preferisce mantenere l’anonimato: “I due uomini sono semplicemente stati dimenticati dalle autorità, ma anche da parte delle grandi organizzazioni internazionale per la tutela dei diritti umani, a partire dalle Nazioni Unite; poco o nulla è stato fatto”.
Per capire la storia dei due bisogna tornare indietro, all’inizio del loro incubo. Alem Tesfay, dopo aver intrapreso il solito, infinito cammino dal Corno d’Africa attraverso il Sudan e l’Egitto è stato fermato mentre stava cercando di valicare il confine libico. Era il marzo 2012 e in quel momento è iniziata la sua detenzione a Qanater. Più drammatica la vicenda di Kibrom, rapito da una banda di trafficanti di esseri umani, portato nel Sinai, ferito e abbandonato in quanto non più utile ai suoi carcerieri. Accadeva alla fine del 2013, pochi mesi dopo essere stato soccorso e arrestato per immigrazione irregolare, il 37enne è finito nella prigione del Cairo. E qui entra in gioco la confusione istituzionale nel paese dei faraoni della post-rivoluzione a piazza Tahrir del gennaio 2011. Tra il 2012 e il 2014, gli anni in cui iniziano le ingiuste detenzioni dei due eritrei, effettivamente in Egitto succede di tutto: dalla vittoria del leader della Fratellanza Musulmana, Mohamed Morsi, alle elezioni del 2012 fio al colpo di stato del luglio 2013 orchestrato dall’ex ministro della difesa Abdel Fattah al-Sisi, trionfatore poi delle presidenziali del 2014 con percentuali ‘bulgare’. Quando il Paese si riallinea seguendo il corso imposto dal nuovo presidente, tutti si dimenticano di Alem Tesfay e Kibrom, per tanti, troppi anni. Fino all’estate scorsa quando una delle reti legali che si occupa della tutela dei diritti umani viene a conoscenza del caso.
Secondo il legale ci sono delle inadempienze e compartecipazioni di responsabilità: “Le autorità egiziane, ma anche l’Alto Commissariato delle nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr, ndr.), a conoscenza dei casi da tempo, dovevano consentire ai due eritrei di registrarsi, quanto meno non avrebbero passato altri mesi e anni in prigione e soprattutto adesso non rischierebbero la deportazione. Il dipartimento d’immigrazione e l’ufficio passaporti negano qualsiasi informazione al riguardo, se non che i due detenuti sono in attesa di espulsione. Il tutto in violazione delle convenzioni internazionali contro le deportazioni forzate. Abraham e Adhanom rischiano la vita qualora dovessero essere rispediti in Eritrea, il regime in quel paese è molto duro e punisce severamente la diserzione. La firma sul documento che attiva la loro deportazione? Estorta con la violenza, i due sono stati minacciati e costretti a scrivere i loro nomi”. Negli anni in cui i due uomini sono scappati, in Eritrea era nel vivo il conflitto ventennale con la vicina Etiopia, ufficialmente concluso nel 2018. Disertare il servizio militare equivale a sicura condanna. Ora è una corso contro il tempo per evitare la beffa dopo il danno subito dai due cittadini eritrei, colpevoli soltanto di voler scappare da un Paese dove non esiste libertà. Le grandi organizzazioni internazionali, tra cui la stessa Amnesty International, si stanno attivando per salvare la vita di Alem Tesfay e Kibrom.