Sono accusati di aver pestato a sangue un uomo per difendere l’autorità del boss. Ora si trovano in cella nel carcere Pagliarelli di Palermo dopo essere stati prelevati dai carabinieri. È successo a Bagheria, in provincia del capoluogo siciliano, dove tre uomini sono finiti in custodia cautelare con l’accusa di lesioni personali aggravate dal metodo mafioso. Si chiamano Nicolo Cannata, Emanuele D’Apolito e Ivan Salerno. Hanno rispettivamente 25, 28 e 30 anni e i loro arresti rientrano nell’ambito di una più ampia operazione che ha portato a colpire la cosca locale.
Secondo gli inquirenti, ci sarebbero proprio Cannata, D’Apolito e Salerno dietro la violenta aggressione subita in agosto da Fabio Tripoli, finito in ospedale con un trauma cranico per mano di una banda armata di tirapugni in quello che è stato definito come un “avvertimento per il suo comportamento problematico“. Il giovane aveva dichiarato in pubblico la sua intenzione di dare fuoco a un locale da poco inaugurato da Massimiliano Ficano, ritenuto reggente della famiglia mafiosa di Bagheria, e in seguito si era anche armato di un’accetta, rinvenuta e sequestrata dai militari in sede di perquisizione. Prese di posizione e iniziative che gli sarebbero valse addirittura la morte, se le forze dell’ordine non fossero intervenute: stando alle ricostruzioni di chi indaga, i tre non si erano infatti accontentati di averlo malmenato a stavano pianificando un secondo agguato per ucciderlo.
Gli arresti rientrano nell’ambito dell’operazione Persefone, che il 13 settembre ha portato all’incarcerazione di otto persone, tutti vertici ed esponenti di spicco della famiglia mafiosa di Bagheria accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione e lesioni personali aggravate. Secondo la ricostruzione della direzione distrettuale antimafia, che ha coordinato il blitz, al vertice del clan c’era Ficano, che poteva contare anche su Onofrio ‘Gino’ Catalano (ritenuto ex reggente), Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D’Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano. I due capi (Ficano e Catalano), nonostante il travagliato avvicendamento alla guida della famiglia, si sarebbero impegnati per mantenere il controllo del territorio con la “politica delle estorsioni“. E avrebbero anche assunto la direzione delle piazze di spaccio così da avere una fonte di profitto e il sostentamento dei carcerati e delle loro famiglie.