Diagnosticare in anticipo l’insorgere della Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) e predirne l’andamento e i tempi di progressione attraverso le analisi del sangue. Grazie all’Intelligenza Artificiale potrebbe essere possibile: la tecnologia riuscirebbe infatti a decodificare dei “segnali” rilasciati da alcune cellule, responsabili del movimento, per conoscerne lo stato di salute. Lo spiega uno studio italiano, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Neurodegeneration.

Si tratta di una possibile svolta per la medicina: se convalidato, il protocollo permetterebbe di capire meglio una malattia che colpisce ogni anno in media una 1 persona su 3, ogni 100 mila abitanti – secondo i dati dell’Osservatorio italiano sulle malattie rare – e che solitamente viene diagnosticata dopo numerosi esami e unicamente da neurologi esperti.

La scoperta è il risultato della collaborazione di più centri di ricerca, coordinati da Valentina Bonetto, responsabile del Laboratorio di biomarcatori traslazionali dell’Istituto Mario Negri e da Manuela Basso del Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata dell’Università di Trento. Lo studio ha sfruttato le informazioni – ancora limitate – che la comunità scientifica ha sulla Sla: si tratta di una malattia neurodegenerativa che interessa i motoneuroni, cellule essenziali per inviare i comandi ai nostri muscoli scheletrici e permettere il movimento. Proprio dalle cellule bisogna quindi partire per capirne i segni.

Il protocollo non è complesso e consiste nell’isolare e caratterizzare delle vescicole extracellulari – ossia piccole particelle lipidiche provenienti dai motoneuroni – che circolano nel sangue. In base a queste – dichiara Laura Pasetto dell’Istituto Mario Negri, prima autrice del lavoro – è possibile distinguere i pazienti Sla, quelli sani e “altri affetti da diverse malattie neurologiche e muscolari”, distrofie muscolari o malattia di Kennedy, che presentano sintomi simili nelle fasi iniziali. A permettere il confronto è stata proprio l’Intelligenza Artificiale, tramite cui Francesco Rinaldi del Dipartimento di Matematica dell’Università di Padova ha analizzato e rielaborato i dati ottenuti dai prelievi rilevati su un campione di 106 pazienti SLA e 96 soggetti controllo. “Le vescicole di pazienti Sla hanno dimensioni e livelli di proteine diversi” spiega infatti Manuela Basso. Questi parametri – biomarcatori – permetterebbero quindi di “predire in maniera accurata la velocità di progressione della sclerosi”.

“I pazienti Sla – affermano Andrea Calvo, del Centro regionale esperto per la SLA di Torino e Christian Lunetta del Centro Clinico NeMO di Milano e medical director di AISLA – ricevono una diagnosi conclusiva, in media, dopo circa un anno dall’insorgenza dei sintomi”, cioè quando i pazienti iniziano a sperimentare le limitazioni motorie, quando il danno è ormai avanzato. Nonostante i numerosi progressi nella ricerca di base e clinica, non esiste una cura e i malati vivono “lunghi periodi di frustrazione, e vengono inseriti con grande ritardo nei protocolli di cura sperimentali“. Le possibilità di successo sono poche e la malattia aggredisce in modo diverso i pazienti, “rendendo difficoltosa la prognosi e la pianificazione delle cure”. “L’identificazione di biomarcatori – conclude Valentina Bonetto – specifici e predittivi sarebbe dunque di grande aiuto non solo per la loro gestione clinica ma anche per lo sviluppo di una terapia efficace. Risultati simi a quelli ottenuti sugli uomini, sono emersi nei modelli animali. Ciò potrebbe dunque facilitare “il monitoraggio di future sperimentazioni farmacologiche”. Il prossimo passo dello studio sono degli ulteriori accertamenti di validazione, per trasferire le scoperte alla pratica clinica”.

Hanno partecipato alla ricerca i centri CRESLA, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, l’Azienda Ospedale Università di Padova e a Milano, il Centro Clinico NeMO, ICS Maugeri e la Casa Cura Policlinico.

L’abstract dello studio

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