Una botta di destro all’angolino, una punizione fantastica di sinistro, doppietta contro la Sampdoria e 35 anni fa in vetta alla classifica marcatori della Serie A si piazza Ramon Angel Diaz, con la maglia della Fiorentina. È in Italia da 4 anni Ramon, da quando Corrado Ferlaino, presidente del Napoli col pallino dei campioni, scelse proprio il 22enne del River Plate per guidare l’attacco azzurro. D’altronde il talento era evidente: nel River, nella nazionale Under 20 Argentina con cui aveva stravinto il mondiale in Giappone nel 1979 in una coppia irresistibile con Maradona. Una coppia irresistibile, che infatti non ha resistito molto oltre quel mondiale under 20. Quei due sono forti e Menotti li porta al Mondiale vero, in Spagna tre anni dopo. Va male e i due caratteri finiscono per cozzare definitivamente. Diego è un accentratore assetato d’amore e di consenso, Ramon non è tipo da lesinare critiche, neppure a Diego: la coppia scoppia, Diego è Diego. Diaz non tornerà più in nazionale. Ma c’è l’avventura napoletana all’orizzonte nel 1982: la squadra non è granché e finisce nei bassifondi, il carattere chiuso di Diaz non l’aiuta, i gol non arrivano mentre gli arrivano gli schiaffi di Bruscolotti, storico capitano azzurro che ha raccontato come proprio non riuscisse a farsi piacere quel ragazzo, pur talentuoso ma indolente.
Finirà con 3 gol e il soprannome di “puntero triste”: troppo poco per continuare in un Napoli ambizioso che punta alla ribalta nazionale. Sarà ceduto all’Avellino di Sibilia. Accolto da eroe, coccolato dalla calda tifoseria irpina Ramon rinascerà calcisticamente: segnando gol a grappoli (uno anche al Napoli in uno storico e vittorioso derby) garantendo salvezze e diventando l’unico calciatore ad andare in doppia cifra in A con la maglia biancoverde. Un periodo felicissimo per Diaz, “arrivato dopo cocenti umiliazioni” dirà, che gli consente di strappare un ingaggio importante, anche e soprattutto a livello economico. Lo prende la Fiorentina del conte Pontello: anche con il presidente dei toscani Ramon avrà un rapporto complicato. Già dall’inizio. Le cifre dell’affare, curato dal dg Nassi, sono importanti: 10 miliardi di lire all’Avellino, 700 milioni all’anno al calciatore, tanti nel 1986. Ma i Pontello volevano vendere: non riuscendovi sono costretti a rimanere al timone e sobbarcarsi quei contratti così onerosi. Addirittura impugnano quello di Ramon, salvo poi convincerlo a ridursi l’ingaggio e ad accettare bonus per i gol segnati. Gol che arriveranno anche a Firenze: 17 in due campionati. Anche se il rapporto col presidente sarà sempre pessimo: “Amo il calciatore, per nulla l’uomo” dirà Pontello e di fronte alla prospettiva di riprenderlo, anni dopo, aggiungerà un chiarissimo “piuttosto gioco io centravanti“. Non sarà amabile fuori dal campo Ramon, ma in campo sbaglia poco: e nel 1988 quando Trapattoni all’Inter vedrà sfumare l’ingaggio del tacco di Allah Madjer deciderà di puntare proprio su Ramon per l’attacco di quella che sarà l’Inter dei record.
Punto fermo di quella squadra, giocando tutte le partite, Ramon contribuirà a quello scudetto storico duettando alla perfezione con la stella dell’Inter, Lothar Mattahus. Durerà solo un anno: il presidente Pellegrini preferirà comprare Klinsmann al suo posto, e Diaz lascerà l’Italia per giocare al Monaco, in un tandem niente male con George Weah, per poi tornare al suo River chiudendo poi la carriera in Giappone. Da allenatore ha vinto tutto col suo River, dalla Libertadores ai campionati, e una clausura col San Lorenzo. Un calciatore forte, elegante e con un carattere difficile, che ha vinto tanto da calciatore e da allenatore. Certo con qualche rimpianto, in particolare per la nazionale: forse per via della sfortuna di nascere col talento di Diaz mentre si manifesta quello di D10S.