di Luciano Sesta

In un contesto in cui la vaccinazione di massa, e non solo dei fragili, è considerata l’unica, più urgente ed efficace soluzione, la mancanza di un obbligo giuridico che imponga a tutti una simile certezza rende moralmente imperdonabile chi, nutrendo dubbi, non la possiede. Tutto avviene come se la veemenza con cui oggi si condanna la scelta di non vaccinarsi volesse supplire la mancanza della coercizione giuridica a farlo: non potendo obbligare, si biasima. E più ci si accorge che alcuni cittadini non si persuadono, più la mancanza di una legge che li costringa a farlo viene compensata da un diffuso risentimento morale nei loro confronti, a partire dal modo stesso in cui vengono battezzati: “no vax”.

Il termine, com’è risaputo, indica chi è contrario a qualunque vaccino in quanto tale. Ora, però, al di là dell’esigua minoranza di effettivi “no vax”, chi oggi protesta contro le politiche di vaccinazione di massa ha dubbi non già su tutti i vaccini, ma semmai solo su questi, e in molti casi nemmeno su questi, ma solo sulla pretesa di renderli obbligatori anche per chi non è un soggetto a rischio, sotto minaccia di privarlo addirittura dello stipendio. Ne sono una prova le numerose persone che, pur essendo vaccinate, nutrono forti riserve sul green pass e sulle politiche sanitarie del governo.

L’uso che viene oggi fatto in Italia del termine “no vax” mette invece tutto insieme, facendo precipitare sfumature e distinzioni in un’unica indistinta marmellata. La parola “no vax” non ha più una funzione descrittiva, poiché non indica in modo neutrale, così come potrebbe fare il termine opposto “pro vax”, una determinata prospettiva di pensiero. È invece un’etichetta diffamatoria, dotata di un ben preciso vantaggio retorico per chi la usa consapevolmente: consente infatti di liquidare come irricevibili, senza doverle prendere in esame, le domande e le pur legittime perplessità sollevate da chiunque non partecipi con patriottico entusiasmo alla campagna vaccinale di massa.

Spostando il piano della discussione su una banale e del tutto astratta alternativa fra “vaccini sì” e “vaccini no”, chi usa il termine “no vax” fa credere che tutto si riduca a un “prendere o lasciare”, senza alcun distinguo. In un simile quadro non c’è spazio per chi, pur non essendo così cieco da negare l’utilità dei vaccini, non è nemmeno così ingenuo da non accorgersi dell’unilateralità di una politica che vorrebbe imporli a chiunque.

Si potrebbe pensare che l’accusa di utilizzare il termine “no vax” come un bersaglio di comodo sia stata recepita da tutti coloro che distinguono, fra le persone non vaccinate, tre categorie: i fanatici, i dubbiosi e gli impauriti. Dopo aver dichiarato di non poter fare altro che abbandonare al loro ottuso rifiuto i primi, si aggiunge che occorre agire soprattutto sugli esitanti, e cioè appunto i dubbiosi e gli impauriti. Se insomma alcuni sono irrecuperabili, su altri si può e si deve assolutamente lavorare. Si noti qui il dettaglio lessicale, che presenta i non vaccinati non come individui “con i quali” ci si deve confrontare, ma come soggetti “sui quali” si deve lavorare. Ne risulta confermata la tendenza a considerare i cittadini non vaccinati non già come “qualcuno con cui interagire” su un piano di parità civile, ma come “qualcosa su cui agire” dall’alto della propria superiorità culturale e morale. Non soltanto nel caso dei “fanatici”, dunque, ma anche in quello dei “dubbiosi” e dei “timorosi”, le persone non vaccinate vengono essenzialmente infantilizzate.

In quanto “non vaccinate”, in effetti, queste persone sono considerate ancora prive di quell’elementare senso civico che ha invece spinto tutti gli altri a farsi prontamente inoculare il vaccino. In quanto “dubbiose”, invece, avrebbero ancora quei limiti cognitivi che le rendono incapaci di cogliere la pur luminosa evidenza che i vaccini per tutti, non solo per chi rischia, sono l’unica, più sicura e infallibile strada per tornare rapidamente alla normalità. Si ha cura di precisare, in questa operazione, che i “dubbiosi” non sono certo persone stupide o contrarie ai vaccini come lo sono per esempio i “no vax”. Sono invece persone che, non avendo ancora incontrato qualcuno che abbia saputo trovare la giusta chiave per aiutarle, non riescono a superare i loro infondati dubbi.

Per quanto riguarda i “timorosi”, infine, i loro limiti non sarebbero né morali né cognitivi, ma psicologici: proprio non riescono a superare la loro paura. Queste persone, si dice, vanno aiutate a ragionare più di quanto non abbiano ancora fatto, proprio come un passeggero timoroso dei voli aerei andrebbe rassicurato sulla sicurezza dei voli, per scoprire infine l’irrazionalità della propria paura. Una volta che avranno aperto gli occhi su quanto è evidente a chiunque, anche i timorosi capiranno che la loro paura del Covid dovrà superare quella del vaccino. Non si tratta dunque di non avere paura, ma di avere la paura “giusta”.

Come si può vedere, anche l’ostacolo caratteriale del timoroso è ricondotto, illuministicamente, all’handicap cognitivo del dubbioso. Superato l’intralcio psicologico, cadrà inesorabilmente anche quello cognitivo. Come se l’unico obiettivo fosse di convertire l’altro alle proprie idee, escludendo che, nelle sue paure, possa esservi qualcosa da imparare anche per rivedere le proprie.

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