La macchina che il 3 maggio ha ucciso Luana D’Orazio nell’orditura Luana di Oste di Montemurlo era stata manomessa per ridurre i tempi di produzione. La “funzione di sicurezza della saracinesca era stata completamente disabilitata per cui l’operatore poteva accedere alla zona pericolosa, anche in modalità automatica, senza alcuna protezione”. A scriverlo, nella perizia sull’incidente sul lavoro costata la vita alla giovane operaia, è Carlo Gini, ingegnere incaricato dalla Procura di esaminare il macchinario. Dal documento, di cui dà notizia Repubblica, emerge come il mancato utilizzo del dispositivo che le avrebbe probabilmente salvato la vita fosse una “consuetudine” nella piccola azienda famigliare, come provano “varie ragnatele che si erano andate a formare tra le parti fisse e quelle mobili”. Il sistema di comando dell’orditoio aveva inoltre “una staffa fortemente sporgente anziché uno con superficie esterna liscia, come previsto e fornito dal costruttore”. Cosa che “ha amplificato il rischio derivante dalla manomissione della serranda, esponendo Luana a un grave rischio”. Uno spaccato che riapre la discussione su come intervenire per rendere più efficaci le sanzioni contro chi viola le norme.
Lunedì a Chigi ci sarà una riunione con il ministero del Lavoro e tra le ipotesi c’è quella di procedere come chiesto dal nuovo direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro Bruno Giordano anche in un’intervista al Fattoquotidiano.it. Cioè rafforzando il potere di sospendere l’attività di impresa in caso di violazioni: “Oggi l’Ispettorato può fermare un’azienda che abbia oltre il 20% di lavoratori in nero o che sia recidiva nel commettere violazioni in un arco di 5 anni”, aveva ricordato Giordano auspicando un abbassamento di quelle soglie. Il governo sarebbe orientato anche a cancellare il prerequisito della recidiva. Ma i problemi da affrontare non finiscono certo qui: il sistema dei controlli è indebolito strutturalmente dalla difficile comunicazione tra i vari organi responsabili, dalle Asl a Inps e Inail: l’Ispettorato avrebbe dovuto accorpare tutte le funzioni di vigilanza ma la riforma è rimasta sulla carta e non esiste nemmeno una banca dati comune.
Un intervento del governo, che pure ha promesso e avviato l’assunzione di 2mila nuovi ispettori, appare doveroso alla luce dei numeri: 677 vittime tra gennaio e luglio 2021, in salita rispetto allo stesso periodo del 2018 e 2019. Uno stillicidio di morti bianche, ogni giorno. Venerdì un operaio di 48 anni,Giuseppe Siino, è morto per le conseguenze dei traumi riportati in un incidente nello stabilimento della Alma di Campi Bisenzio (Firenze), azienda tessile specializzata nella produzione di moquettes: sarebbe stato schiacciato da un rullo di un macchinario dal quale lo hanno estratto i vigili del fuoco. Giovedì a perdere la vita è stato un operaio di 59 anni, a Marano in provincia di Napoli: mentre tinteggiava la facciata di una villetta è caduto dall’impalcatura di 4 metri battendo la testa a terra. Non indossava il casco protettivo e lavorava in nero. Cadendo da un’impalcatura è morto lo stesso giorno ma a Genova anche un 54enne, che lavorava a un palazzo in ristrutturazione. Martedì, invece, la nona vittima del lavoro in Trentino da inizio anno: Giovanni Delpero, 58 anni, da 30 addetto alla cabinovia che porta al ghiacciaio Presena. Mentre una settimana fa, domenica scorsa, un uomo di 33 anni è rimasto schiacciato dall’albero che stava tagliando in un agriturismo di Ghizzano (Pisa). Tre vittime si sono contate solo l’8 settembre. La prima a Napoli, un 59enne morto nel cantiere della metropolitana, la seconda a Pietrasanta, in provincia di Lucca, un 54enne rimasto schiacciato da due lastre di marmo, la terza a Castiglion Fiorentino (Arezzo), un 73enne caduto da un’altezza di circa 6 metri da un albero in un’azienda agricola.