Circa quattromila anni fa – secolo più, secolo meno – moriva l’ultimo esemplare di mammut lanoso, sull’isola artica di Wrangel, in Russia. Sembra ieri, se pensiamo all’intera storia del pianeta. Non siamo affatto all’epoca dei dinosauri, anzi: per capirci, mentre gli ultimi mammut si godevano il gelo siberiano, in Grecia nasceva la civiltà micenea e, intanto, quella egizia aveva già le piramidi nella skyline. In ogni caso, siamo consapevoli che gli unici mammut con cui possiamo familiarizzare noi…sono quelli del grande schermo.

Eppure, non è detta l’ultima parola. La società americana Colossal, fondata dal genetista di Harvard George Church e dall’imprenditore hi-tech Ben Lamm, ha raccolto 15 milioni di dollari per sequenziare e riprodurre il dna di un mammut e ibridarlo con quello dell’elefante asiatico, con cui condivide già gran parte del patrimonio genetico.

Andiamo per step: a causa del riscaldamento globale, il permafrost si sta sciogliendo, anche se tecnicamente sarebbe un terreno perennemente ghiacciato, mi pare evidente che l’aggettivo “perenne” non sia più quello adatto. Al suo interno, periodicamente, sono stati ritrovati esemplari di mammut integri…gli ultimi consentirebbero la sequenza del codice genetico. Una volta estratto, è possibile creare in laboratorio un embrione di mammut-elefante, incrociandoli. Fatto questo, gli embrioni sarebbero inseriti nell’utero di un’elefantessa per portare avanti la gravidanza e dar vita all’ibrido, anche se resta aperta pure l’opzione originaria dell’utero artificiale, utile per non mettere in pericolo l’esemplare gestante. Primo cucciolo: obiettivo 2027. Sarà un elefante resistente al freddo, esteticamente più simile al pachiderma asiatico, ma con il comportamento del mammut, dall’alimentazione all’abbattimento degli alberi.

Non si tratta quindi di clonazione, ma di una procedura di de-estinzione. Come dicevo, nei decenni scorsi, sono stati internazionali e molteplici i tentativi – mai andati a buon fine – di riportare in vita mammut o altri esemplari di megafauna scomparsi a causa del modificarsi del loro habitat e già Church aveva annunciato grandi traguardi nel 2017. Stavolta i fondi promettono bene, però restano le questioni etiche: l’argomento della biodiversità non mi convince.

Per Church la presenza di un simil-mammut andrebbe a incidere positivamente sui ghiacci: gli alberi abbattuti, con il peso e il movimento dell’animale, diventerebbero una sorta di “moquette” per il permafrost, proteggendolo. Inoltre, si andrebbe a salvaguardare contemporaneamente l’esistenza dell’elefante asiatico, dandogli la possibilità di prosperare in nuove zone. O meglio, è più corretto dire che si conserverebbe una sua evoluzione tech, alcune sue caratteristiche implementate attraverso l’ibrido.

Tuttavia, se nelle regioni artiche l’ecosistema è sempre più fragile e in mutamento, riportare un esemplare che vive bene solo a basse temperature proprio ora che si preannuncia la catastrofe climatica nel giro di pochi decenni… non sembra essere la soluzione ideale. Moltə studiosə concordano anche nell’ammettere che l’idea di ripopolare la zona artica per impattare sul clima funziona solo in teoria, poiché di fatto servirebbero migliaia di esemplari e una quantità enorme di lavoro (e denaro!) per ottenere risultati concreti: la strada a lungo termine non è più un’opzione per l’emergenza climatica! Mi pare che la nuova creatura possa essere un manifesto della protezione dell’ecosistema, ma nella pratica nulla di più.

Resta ovviamente anche l’interrogativo di fondo: è giusto creare nuove specie attraverso l’editing genetico, magari con nuove caratteristiche maggiormente performanti? Se sì, siamo sicurə di essere prontə a tutelarle, visto che non siamo in grado di proteggere nemmeno la fauna che, con fatica, tenta di sopravvivere alla crisi climatica?

Io sono una grande fan della scienza, ma anche della trasparenza. Se vogliamo dire che questo progetto mira a difendere le zone artiche dal riscaldamento globale… mi viene da commentare che ci sono modi più efficienti di investire 15 milioni di dollari. Quindi siamo onestə e ammettiamo che l’impatto ecologista sarebbe lento e pressoché inutile e che alcune cose si fanno per puro spirito di ricerca e curiosità. Si fanno perché non è più fantascienza, ma scienza e basta. È sicuramente una motivazione, il punto è capire se sia sufficiente.

Twitter: @ElianaCocca

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Le “montagne rosse” di Sardegna: discariche di metalli in attesa di bonifiche, tra veleni e vincoli. E anche tesoretti: “La soluzione? Sta nel riutilizzo”. Ma la politica va a rilento (da una quindicina d’anni)

next
Articolo Successivo

Brescia, la battaglia contro i nuovi depuratori del lago di Garda che piacciono alla ministra Gelmini: “Uno spreco, creano nuovi problemi”

next