Da ormai quasi quattro anni nella provincia di Brescia si sta discutendo della collocazione del sistema di depurazione fognaria per i comuni del lago di Garda. Il progetto, che costa 230 milioni di euro di cui 100 stanziati dal governo, consiste nella costruzione di due nuovi depuratori in altrettanti paesi – Gavardo e Montichiari – e lo scarico delle acque depurate nel fiume Chiese, un corso d’acqua dal bacino molto fragile ma anche uno dei più importanti della provincia e che bagna 31 comuni. Ma Gavardo, Montichiari e il fiume Chiese appartengono a un bacino idrografico diverso da quello del Garda, ed è proprio questa la causa di tutte le polemiche e gli scontri che si sono scatenati tra i territori bresciani dal 2018: se i sindaci del bacino del Chiese, infatti, si sono da subito scagliati con un progetto che a loro avviso si rivelerebbe fatale per la salubrità del fiume e della zona interessata dalla depurazione, il primo cittadino di Salò Giampiero Cipani ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it che l’opera è stata pensata “sotto il profilo ambientale migliore” e si tratta di una scelta “che non poteva essere non presa”, in quanto frutto di anni di studi e valutazioni da parte dei ministeri pertinenti con gli enti provinciali.
Anche Enrico Volpi, vertice dell’amministrazione di Castiglione delle Stiviere – in provincia di Mantova, ma interessato alla discussione – sostiene con il Fatto.it che il progetto selezionato è quello “meno gravoso e impattante verso le comunità coinvolte”. Altri sindaci gardesani, come Roberto Tardani di Lonato del Garda, preferiscono invece trincerarsi dietro il silenzio, in attesa che la costruzione inizi veramente. Ma con il tempo la frattura tra chi è a favore e chi è contro il nuovo depuratore si è allargata sempre di più, sfociando nel presidio fatto di cittadini e comitati ambientalisti che dal 9 agosto rimane sotto palazzo Broletto della prefettura di Brescia. La mobilitazione Salviamo il fiume Chiese va avanti giorno e notte – in modo pacifico con striscioni, sedie, incontri pubblici e un po’ di musica – ed esprime il dissenso verso un’opera ritenuta dannosa. Sentiti da ilfattoquotidiano.it, gli attivisti Gianluca Bordiga e Marco Apostoli hanno voluto raccontare le motivazioni della protesta e tutta la vicenda intorno alla questione del depuratore del Garda.
L’attuale depuratore – Il presidio, spiegano, è il risultato di un movimento che negli anni ha coinvolto tante associazioni e comitati. Bordiga e Apostoli esprimono la voce rispettivamente della “Federazione del Tavolo delle Associazioni che amano il Fiume Chiese e il suo Lago d’Idro” e del “Tavolo provinciale Basta Veleni”. Il progetto a cui si oppongono è quello del 2018, sviluppato dall’Ambito territoriale bresciano (Ato) con il principale gestore idrico della provincia Acque Bresciane e il parere dell’Università di Brescia. Il rinnovamento del sistema di collettamento e depurazione è diviso tra Brescia e Verona, ognuna con il suo piano. Quello bresciano consiste nella dismissione delle attuali condotte sublacuali costruite tra il 1984 e il 1985: queste incanalano i reflui dalla sponda occidentale – località di Toscolano Maderno – a Torri del Benaco, in provincia di Verona, destinandoli al depuratore di Peschiera del Garda, con scarico nel fiume Mincio. Oggi, il sistema è sottodimensionato e non risolve il problema della separazione tra le acque bianche da quelle nere, causando disagi nella raccolta e nello smaltimento dei reflui. Con la nuova opera questo problema non solo non verrà risolto, sostiene chi avversa il progetto, ma le nuove tubature arriveranno fino a Gavardo e Montichiari, che distano rispettivamente 32 e 26 chilometri da Peschiera, e non sono in alcun modo collegati al sistema fognario del Garda. La decisione si basa sul fatto che le condotte, secondo gli enti coinvolti, si trovino “a fine vita”. “Il rischio di rottura delle tubature è alto – ribadisce anche il sindaco di Castiglione delle Stiviere – e può avvenire anche in seguito agli incidenti navali nel lago”. Ma che le tubature siano una “bomba ecologica a orologeria”, rispondono gli attivisti, è “un presupposto falso” perché “anche nella ultima relazione tecnica è specificato che possono durare fino al 2035. E non hanno mai causato una perdita”.
Lontano dal turismo – Dietro la decisione ecologica di costruire un nuovo sistema di depurazione ci sono “molte ragioni economiche”, aggiunge un altro presidiante bresciano, Marino Ruzzenenti: il piano è collocare il nuovo depuratore “il più lontano possibile dal Garda” e dal “turismo redditizio” che ogni anno conta 25 milioni di visitatori nelle località del lago. “Quello della depurazione – continua Ruzzenenti – è un problema che i Comuni del Garda si sono creati da soli con decenni di urbanizzazione smisurata per favorire l’industria turistica”. Portando alla creazione, tra le altre cose, di decine di scarichi abusivi che vanno direttamente a lago. Ma da Salò ribattono che queste sono “accuse infondate”.
L’impatto sul paesaggio – “È chiaro che le comunità avrebbero preferito andare a scaricare altrove – commenta Volpi dal Mantovano – ma questa soluzione è l’unica che garantisce la qualità dell’acqua in uscita”. Così, per realizzare il progetto Gavardo-Montichiari si scaveranno chilometri di campagne, pompando i reflui solidi in salita per superare le colline. E si passerà anche dai campi intorno a Gavardo che le autorità provinciali per la salvaguardia dell’ambiente hanno dichiarato “aree agricole di pregio”. I sei anni di lavori avranno anche un impatto sul traffico sulla Gardesana Occidentale, che già normalmente può rimanere bloccata da chilometri di code, soprattutto in estate. E quando l’acqua depurata finirà poi nel Chiese, questo fiume “andrà incontro a morte biologica”, attacca Bordiga, perché il Chiese è un fiume torrentizio e il suo corso irregolare non è in grado di smaltire i reflui. Ma “lo scarico nel Chiese interessa molto alle lobby agricole bresciane”, aggiunge Apostoli, ricordando che nel 2019 il presidente di Coldiretti Ettore Prandini aveva accolto con plauso l’idea Gavardo-Montichiari. “Così l’acqua del Chiese sarebbe più fertilizzata – continua Bordiga – Pronta per essere utilizzata nelle agricolture intensive di mais da trinciato”, fondamentale per il settore dell’allevamento di bovini e delle biomasse.
La politica dietro il progetto – Ma ad avviso degli attivisti oltre agli interessi economici ci sono anche i risvolti politici. Gavardo e Montichiari potevano evitare che la nuova opera finisse a loro carico grazie alla “Mozione Sarnico”, approvata dal consiglio provinciale il 30 novembre 2020 “dopo anni di confronto”, dice Apostoli. La mozione chiedeva che tutti i depuratori consortili della provincia di Brescia venissero costruiti nei comuni che usufruivano direttamente del servizio, quello del Garda compreso. La mozione – che è respinta da solo tre consiglieri su 17, di cui uno di Forza Italia – porta Ato e Acque Bresciane a presentare, nell’aprile 2021, la nuova idea del depuratore a Lonato del Garda in funzione con l’attuale di Peschiera. Il fiume di scarico, però, non viene specificato, e i comitati temono si tratti ancora del Chiese. Ma nel maggio 2021 la ministra Mariastella Gelmini – che è anche presidente della Comunità del Garda – interviene chiedendo al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani di nominare un commissario ad acta per “liberare” la vicenda “da ogni logica fuorviante”. Per Bordiga la richiesta della ministra scavalca la Mozione Sarnico e “va contro l’articolo 120 della Costituzione”, che prevede che il governo può sostituirsi agli enti locali solo in casi estremi o di pericolo per la sicurezza pubblica. “E non è questo il caso”, chiosa Bordiga.
Il commissariamento – Nel mentre, la sua associazione presenta quella che potrebbe essere un’alternativa: uno studio ingegneristico terzo, il Cappella di Gorizia, suggerisce che intervenendo sul depuratore già in uso di Peschiera – allargando le condotte attuali e costruendone una terza per le acque pluviali – l’opera costerebbe 70-90 milioni di euro in meno e sarebbe più sostenibile anche nei costi sociali e ambientali. Nonostante venga inviata due volte al ministro Cingolani, questa proposta viene ignorata. Si arriva così al 18 giugno scorso, quando la richiesta di Gelmini viene accolta dal Consiglio dei ministri e il già prefetto di Brescia Attilio Visconti è nominato commissario per la rapida attuazione del progetto. “Una nomina non rinviabile che mette fine a anni di discussioni”, dice soddisfatto Cipani. Ma per gli ambientalisti Visconti si pone come un “esecutore”: il 23 giugno incontra una delegazione dei circoli di Legambiente di Brescia e comunica loro di aver già scelto la soluzione Gavardo-Montichiari “perché è la più rapida e performante”. Un meeting svolto “in nome del decisionismo”, denuncia Legambiente in un comunicato, preludio all’annuncio ufficiale del 23 luglio, quando Visconti dichiara che i depuratori si faranno a Gavardo e Montichiari.
Il presidio non si ferma – Quella che per i sindaci favorevoli è l’unica “scelta tecnologicamente sensata”, per chi presidia palazzo Broletto è “un fatto antidemocratico gravissimo” contro l’identità e l’autonomia dei territori bresciani del Chiese, con il prefetto che “si è messo a fianco di un gruppo di cittadini per agire contro gli altri”. Dopo un mese di presidio, Visconti non ha ancora lasciato dichiarazioni né ai comitati né – interpellata la prefettura il 27 agosto – a ilfattoquotidiano.it. Ma gli ambientalisti non demordono: “Sarà il nostro Tav”, dichiarano da Basta Veleni, annunciando che la mobilitazione andrà avanti a oltranza. “Abbiamo inviato anche una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – conclude Bordiga – Rimarremo finché non saremo ascoltati da lui”.
Ambiente & Veleni
Brescia, la battaglia contro i nuovi depuratori del lago di Garda che piacciono alla ministra Gelmini: “Uno spreco, creano nuovi problemi”
Dal 9 agosto comitati e cittadini in presidio permanente sotto palazzo Broletto per fermare il megaprogetto da oltre 200 milioni di euro pubblici che dovrebbe risolvere il problema della depurazione del lago: "Così si uccide la salubrità del fiume Chiese. Ignorano le alternative con costi sociali e ambientali sostenibili". La ministra degli Affari Regionali, che presiede la Comunità del Garda, ha sollecitato Cingolani per sveltire il progetto
Da ormai quasi quattro anni nella provincia di Brescia si sta discutendo della collocazione del sistema di depurazione fognaria per i comuni del lago di Garda. Il progetto, che costa 230 milioni di euro di cui 100 stanziati dal governo, consiste nella costruzione di due nuovi depuratori in altrettanti paesi – Gavardo e Montichiari – e lo scarico delle acque depurate nel fiume Chiese, un corso d’acqua dal bacino molto fragile ma anche uno dei più importanti della provincia e che bagna 31 comuni. Ma Gavardo, Montichiari e il fiume Chiese appartengono a un bacino idrografico diverso da quello del Garda, ed è proprio questa la causa di tutte le polemiche e gli scontri che si sono scatenati tra i territori bresciani dal 2018: se i sindaci del bacino del Chiese, infatti, si sono da subito scagliati con un progetto che a loro avviso si rivelerebbe fatale per la salubrità del fiume e della zona interessata dalla depurazione, il primo cittadino di Salò Giampiero Cipani ha dichiarato a ilfattoquotidiano.it che l’opera è stata pensata “sotto il profilo ambientale migliore” e si tratta di una scelta “che non poteva essere non presa”, in quanto frutto di anni di studi e valutazioni da parte dei ministeri pertinenti con gli enti provinciali.
Anche Enrico Volpi, vertice dell’amministrazione di Castiglione delle Stiviere – in provincia di Mantova, ma interessato alla discussione – sostiene con il Fatto.it che il progetto selezionato è quello “meno gravoso e impattante verso le comunità coinvolte”. Altri sindaci gardesani, come Roberto Tardani di Lonato del Garda, preferiscono invece trincerarsi dietro il silenzio, in attesa che la costruzione inizi veramente. Ma con il tempo la frattura tra chi è a favore e chi è contro il nuovo depuratore si è allargata sempre di più, sfociando nel presidio fatto di cittadini e comitati ambientalisti che dal 9 agosto rimane sotto palazzo Broletto della prefettura di Brescia. La mobilitazione Salviamo il fiume Chiese va avanti giorno e notte – in modo pacifico con striscioni, sedie, incontri pubblici e un po’ di musica – ed esprime il dissenso verso un’opera ritenuta dannosa. Sentiti da ilfattoquotidiano.it, gli attivisti Gianluca Bordiga e Marco Apostoli hanno voluto raccontare le motivazioni della protesta e tutta la vicenda intorno alla questione del depuratore del Garda.
L’attuale depuratore – Il presidio, spiegano, è il risultato di un movimento che negli anni ha coinvolto tante associazioni e comitati. Bordiga e Apostoli esprimono la voce rispettivamente della “Federazione del Tavolo delle Associazioni che amano il Fiume Chiese e il suo Lago d’Idro” e del “Tavolo provinciale Basta Veleni”. Il progetto a cui si oppongono è quello del 2018, sviluppato dall’Ambito territoriale bresciano (Ato) con il principale gestore idrico della provincia Acque Bresciane e il parere dell’Università di Brescia. Il rinnovamento del sistema di collettamento e depurazione è diviso tra Brescia e Verona, ognuna con il suo piano. Quello bresciano consiste nella dismissione delle attuali condotte sublacuali costruite tra il 1984 e il 1985: queste incanalano i reflui dalla sponda occidentale – località di Toscolano Maderno – a Torri del Benaco, in provincia di Verona, destinandoli al depuratore di Peschiera del Garda, con scarico nel fiume Mincio. Oggi, il sistema è sottodimensionato e non risolve il problema della separazione tra le acque bianche da quelle nere, causando disagi nella raccolta e nello smaltimento dei reflui. Con la nuova opera questo problema non solo non verrà risolto, sostiene chi avversa il progetto, ma le nuove tubature arriveranno fino a Gavardo e Montichiari, che distano rispettivamente 32 e 26 chilometri da Peschiera, e non sono in alcun modo collegati al sistema fognario del Garda. La decisione si basa sul fatto che le condotte, secondo gli enti coinvolti, si trovino “a fine vita”. “Il rischio di rottura delle tubature è alto – ribadisce anche il sindaco di Castiglione delle Stiviere – e può avvenire anche in seguito agli incidenti navali nel lago”. Ma che le tubature siano una “bomba ecologica a orologeria”, rispondono gli attivisti, è “un presupposto falso” perché “anche nella ultima relazione tecnica è specificato che possono durare fino al 2035. E non hanno mai causato una perdita”.
Lontano dal turismo – Dietro la decisione ecologica di costruire un nuovo sistema di depurazione ci sono “molte ragioni economiche”, aggiunge un altro presidiante bresciano, Marino Ruzzenenti: il piano è collocare il nuovo depuratore “il più lontano possibile dal Garda” e dal “turismo redditizio” che ogni anno conta 25 milioni di visitatori nelle località del lago. “Quello della depurazione – continua Ruzzenenti – è un problema che i Comuni del Garda si sono creati da soli con decenni di urbanizzazione smisurata per favorire l’industria turistica”. Portando alla creazione, tra le altre cose, di decine di scarichi abusivi che vanno direttamente a lago. Ma da Salò ribattono che queste sono “accuse infondate”.
L’impatto sul paesaggio – “È chiaro che le comunità avrebbero preferito andare a scaricare altrove – commenta Volpi dal Mantovano – ma questa soluzione è l’unica che garantisce la qualità dell’acqua in uscita”. Così, per realizzare il progetto Gavardo-Montichiari si scaveranno chilometri di campagne, pompando i reflui solidi in salita per superare le colline. E si passerà anche dai campi intorno a Gavardo che le autorità provinciali per la salvaguardia dell’ambiente hanno dichiarato “aree agricole di pregio”. I sei anni di lavori avranno anche un impatto sul traffico sulla Gardesana Occidentale, che già normalmente può rimanere bloccata da chilometri di code, soprattutto in estate. E quando l’acqua depurata finirà poi nel Chiese, questo fiume “andrà incontro a morte biologica”, attacca Bordiga, perché il Chiese è un fiume torrentizio e il suo corso irregolare non è in grado di smaltire i reflui. Ma “lo scarico nel Chiese interessa molto alle lobby agricole bresciane”, aggiunge Apostoli, ricordando che nel 2019 il presidente di Coldiretti Ettore Prandini aveva accolto con plauso l’idea Gavardo-Montichiari. “Così l’acqua del Chiese sarebbe più fertilizzata – continua Bordiga – Pronta per essere utilizzata nelle agricolture intensive di mais da trinciato”, fondamentale per il settore dell’allevamento di bovini e delle biomasse.
La politica dietro il progetto – Ma ad avviso degli attivisti oltre agli interessi economici ci sono anche i risvolti politici. Gavardo e Montichiari potevano evitare che la nuova opera finisse a loro carico grazie alla “Mozione Sarnico”, approvata dal consiglio provinciale il 30 novembre 2020 “dopo anni di confronto”, dice Apostoli. La mozione chiedeva che tutti i depuratori consortili della provincia di Brescia venissero costruiti nei comuni che usufruivano direttamente del servizio, quello del Garda compreso. La mozione – che è respinta da solo tre consiglieri su 17, di cui uno di Forza Italia – porta Ato e Acque Bresciane a presentare, nell’aprile 2021, la nuova idea del depuratore a Lonato del Garda in funzione con l’attuale di Peschiera. Il fiume di scarico, però, non viene specificato, e i comitati temono si tratti ancora del Chiese. Ma nel maggio 2021 la ministra Mariastella Gelmini – che è anche presidente della Comunità del Garda – interviene chiedendo al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani di nominare un commissario ad acta per “liberare” la vicenda “da ogni logica fuorviante”. Per Bordiga la richiesta della ministra scavalca la Mozione Sarnico e “va contro l’articolo 120 della Costituzione”, che prevede che il governo può sostituirsi agli enti locali solo in casi estremi o di pericolo per la sicurezza pubblica. “E non è questo il caso”, chiosa Bordiga.
Il commissariamento – Nel mentre, la sua associazione presenta quella che potrebbe essere un’alternativa: uno studio ingegneristico terzo, il Cappella di Gorizia, suggerisce che intervenendo sul depuratore già in uso di Peschiera – allargando le condotte attuali e costruendone una terza per le acque pluviali – l’opera costerebbe 70-90 milioni di euro in meno e sarebbe più sostenibile anche nei costi sociali e ambientali. Nonostante venga inviata due volte al ministro Cingolani, questa proposta viene ignorata. Si arriva così al 18 giugno scorso, quando la richiesta di Gelmini viene accolta dal Consiglio dei ministri e il già prefetto di Brescia Attilio Visconti è nominato commissario per la rapida attuazione del progetto. “Una nomina non rinviabile che mette fine a anni di discussioni”, dice soddisfatto Cipani. Ma per gli ambientalisti Visconti si pone come un “esecutore”: il 23 giugno incontra una delegazione dei circoli di Legambiente di Brescia e comunica loro di aver già scelto la soluzione Gavardo-Montichiari “perché è la più rapida e performante”. Un meeting svolto “in nome del decisionismo”, denuncia Legambiente in un comunicato, preludio all’annuncio ufficiale del 23 luglio, quando Visconti dichiara che i depuratori si faranno a Gavardo e Montichiari.
Il presidio non si ferma – Quella che per i sindaci favorevoli è l’unica “scelta tecnologicamente sensata”, per chi presidia palazzo Broletto è “un fatto antidemocratico gravissimo” contro l’identità e l’autonomia dei territori bresciani del Chiese, con il prefetto che “si è messo a fianco di un gruppo di cittadini per agire contro gli altri”. Dopo un mese di presidio, Visconti non ha ancora lasciato dichiarazioni né ai comitati né – interpellata la prefettura il 27 agosto – a ilfattoquotidiano.it. Ma gli ambientalisti non demordono: “Sarà il nostro Tav”, dichiarano da Basta Veleni, annunciando che la mobilitazione andrà avanti a oltranza. “Abbiamo inviato anche una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – conclude Bordiga – Rimarremo finché non saremo ascoltati da lui”.
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Giustizia & Impunità
Pioltello, una sola condanna per il disastro ferroviario. 8 assoluzioni, anche l’ex ad di Rfi: “Non sapevano del giunto ammalorato”
Politica
Alla Camera la sfiducia a Santanchè: in dichiarazione di voto i “big” della maggioranza non intervengono | Diretta. Mozione contro Nordio: banchi vuoti a destra
Mondo
Ucraina, è corsa alle terre rare: Putin offre a Trump un accordo su quelle del Donbass. Onu, Usa e Russia votano insieme contro Kiev
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "Il paziente oncologico ha un'immunodeficienza che è legata a molti fattori. Noi pensiamo ai trattamenti chemioteratici, ma anche avere un grande intervento chirurgico genera una condizione di immunodeficienza. E' la condizione di per sé, con tutte le terapie, che espone a questo tipo di infezioni". Così Sandro Pignata, direttore dell'Oncologia medica presso l'Irccs Istituto nazionale tumori Fondazione G. Pascale di Napoli e responsabile scientifico della Rete oncologica campana (Roc), nel suo intervento all'incontro organizzato oggi a Roma da Gsk in occasione della Settimana della prevenzione dal Fuoco di Sant'Antonio (24 febbraio-2 marzo). Lo specialista ricorda inoltre che "non dobbiamo mai dimenticare che il nostro Paese invecchia ogni anno e la popolazione diventa più anziana: molti dei nostri pazienti sono proprio in quella fascia di età più esposta al rischio di infezioni da Herpes zoster".
A causa di "una patologia che è prevenibile", è assurdo che spesso "questi pazienti durante il loro corso di cura" siano costretti "a interrompere o ritardare le somministrazioni - osserva Pignata - Ovviamente l'intensità delle somministrazioni delle cure è un fattore importante, la capacità di portare avanti nei tempi tutte le radioterapie" e i trattamenti "è un fattore importante nella definizione degli outcome", cioè i risultati, in termini di salute. "Forse, oltre che nella popolazione, anche nei medici la consapevolezza" sull'importanza della vaccinazione "deve essere ancora raggiunta pienamente - sottolinea - Un paziente oncologico ha tanti bisogni. Spesso l'oncologo fa una scelta di priorità su cosa affrontare prima. Per questa ragione suggeriamo di consigliare a percorso vaccinale, soprattutto all'inizio della malattia, quando il numero dei bisogni è più contenuto".
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, "e qui parlo non da oncologo, ma da coordinatore di una rete, almeno della mia regione - illustra Pignata - i centri vaccinali pubblici, nel tempo, sono stati strutturati soprattutto per la pediatria e non per l'adulto. Abbiamo scelto quindi un modello ibrido, che ovviamente utilizzasse i centri vaccinali delle Asl, coinvolto la medicina generale che si è resa disponibile, ma abbiamo anche ragionato sulla possibilità di aprire ex-novo centri vaccinali all'interno dei centri oncologici, per varie ragioni. Intanto - precisa - per consentire a più pazienti possibili di ricevere la vaccinazione, ma anche perché il paziente oncologico vuole seguire tutte le attività legate alla propria malattia nell'ospedale dove viene curato, quindi accetta e condivide con maggiore favore la possibilità di essere vaccinato nella sede dove effettua tutte le altre terapie. Abbiamo scritto un documento che definisce questi percorsi. Con una discreta soddisfazione - conclude - credo che più pazienti oggi, rispetto al passato, siano vaccinati, ma siamo ancora al di sotto del numero di quelli che ne trarrebbero vantaggio".
Milano, 25 feb. (Adnkronos) - La sentenza di condanna a cinque anni e tre mesi per Marco Albanesi, nella sua qualità di capo Unità manutentiva di Rfi, per disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni colpose, è sancita dalla "colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto isolante incollato ammalorato, all'altezza del Km 13+400", nel comune di Pioltello, che causò il deragliamento di un treno regionale che il 25 gennaio 2018 uscì dai binari causando la morte di tre passeggeri e di un centinaio di feriti.
Nella nota del presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia - la risoluzione del Csm consente di spiegare le sentenze più complesse in attesa delle motivazioni - si evidenzia come il collegio presieduto dalla giudice Elisabetta Canevini ha assolto gli ex dirigenti - l'ex ad Maurizio Gentile e gli ex manager Umberto Lebruto, Vincenzo Macello e Andrea Guerini - "tutti per non aver commesso il fatto", data "l'assenza di prova in ordine alla realizzazione di condotte commissive od omissive ad essi rimproverabili, considerazione dei rispettivi ruoli ricoperti all'interno dell'assetto organizzativo di Rete ferroviaria italiana, nonché degli effettivi flussi informativi circa l'ammaloramento del giunto e l'inadeguatezza della manutenzione che ne ha determinato la rottura la mattina del 25 gennaio 2018, cagionando così il tragico disastro".
Il Tribunale - in coerenza con l'indirizzo interpretativo già accolto dalla Suprema Corte di Cassazione nella vicenda relativa al disastro ferroviario di Viareggio - "ha escluso che le norme cautelari astrattamente violate, il cui rispetto avrebbe evitato il verificarsi del disastro, avessero ad oggetto specifiche cautele antinfortunistiche, ritenendo che in realtà esse attenessero alla gestione di un rischio ontologicamente diverso, relativo alla sicurezza della circolazione ferroviaria e alla tutela della pubblica incolumità: e sulla base di questo inquadramento giuridico della vicenda ha vagliato la sussistenza, e l'osservanza in concreto delle posizioni di garanzia riferibili ai singoli". Le motivazioni del processo di primo grado saranno rese note tra 90 giorni.
(Adnkronos) - Quello spezzone che manca, circa 23 centimetri, sbalzato a "diversi metri di distanza" è per la procura la causa del deragliamento e grazie a una telecamera che punta sul tratto ferroviario emerge che "I problemi che stava dando quel giunto duravano da qualche giorno". Al passaggio del treno su quel tratto si generano scintille, le prime scintille già a partire dal 17 gennaio, proseguono e aumentano intensità e frequenza" con l'incremento dell'erosione.
Il giorno del deragliamento "le scintille sono contenute al passaggio delle prime carrozze, poi c'è quasi una fiammata" mentre il convoglio viaggia a "140 chilometri l'ora", infine "basta scintille" perché "il giunto è saltato" e le ultime carrozze non viaggiano più sui binari. "Possiamo dire con certezza che è la rottura del giunto che ha determinato lo svio del treno" è la sintesi dei pm Leonardo Lesti e Maura Ripamonti durante la requisitoria. "E' evidente che questa rottura determina l'evento e la morte di tre persone e il ferimento di circa 200" di cui deve rispondere "chi non ha provveduto alla corretta manutenzione del giunto" che si trovava "in condizioni di forte degrado" è la tesi della procura.
Su quella linea in cui passano circa 100 treni al giorno il malfunzionamento viene rilevato - secondo la tesi della procura fin dal febbraio 2017 o addirittura anche prima - ma la sostituzione dei giunto non arriva mai, la strategia di Rfi, per la pubblica accusa, sembra essere "il giunto si cambia se è rotto, se non è rotto si tira avanti". L’incidente mortale di Pioltello "non è un fatto occasionale, ma riconducibile alla colpa che arriva fino all'amministratore delegato Gentile". Il non aver riparato il giunto lungo i binari "è una sorta di scorrettezza nei confronti dello Stato" ma "anche una forma di slealtà" nei confronti di chi viaggiava: "c'erano 250 passeggeri, gente che andava a lavorare e si fidava del treno". Una tesi accusatoria che non ha convinto il tribunale.
(Adnkronos) - Lebruto e Macello, presenti in aula, si sono lasciati andare a qualche lacrima di commozione dopo l'assoluzione, mentre alcuni dei passeggeri che viaggiavano sul treno deragliato hanno lasciato l'aula in silenzio e con tutt'altro stato d'animo. Di fatto il tribunale ha condannato solo l'allora capo dell'Unità manutentiva di Rfi Marco Albanesi (la procura aveva chiesto 6 anni e 10 mesi) per disastro ferroviario colposo, omicidio e lesioni colpose, ritenendolo responsabile sul territorio del mancato controllo o meglio come "colposa sottovalutazione del rischio" come spiega lo stesso Tribunale. Lui, in solido con il responsabile civile Rfi, dovrà risarcire le parti civili (una cinquantina) con una provvisionale di 25mila per ciascuno dei passeggeri che si sono costituiti nel processo e di 50mila al sindacato Filt - Cgil Lombardia.
Gli ex manager per cui la procura aveva chiesto la condanna sono invece stati assolti dall'accusa di disastro ferroviario colposo e omicidio e lesioni colpose "per non aver commesso il fatto" e "perché il fatto non sussiste" rispetto all'accusa di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. I giudici hanno anche assolto - come chiesto dalla stessa procura - Moreno Bucciantini, allora capo reparto Programmazione e controllo dell’Unità territoriale linee Sud di Rfi, Ivo Rebai, ai tempi responsabile della Struttura operativa Ingegneria della Dtp e Marco Gallini, allora dirigente della Struttura organizzativa di Rfi.
Sono le 7.01 del 25 gennaio 2018 quando il treno 10452 esce dai binari e tre delle sei carrozze, dopo il deragliamento, si ribaltano. Tra le lamiere della carrozza numero 3 muoiono Pierangela Tadini, 51 anni, Giuseppina Pirri, 39 anni, e Ida Maddalena Milanesi, 61, dottoressa dell'ospedale neurologico Carlo Besta di Milano. Dall'ispezione della sede ferroviaria "viene accertato sul binario una rottura della superficie della rotaia" che diventerà il 'punto zero' per l'inchiesta.
(segue)
Roma, 25 feb. (Adnkronos) - Luca Attanasio, "convinto che la sua missione istituzionale non potesse prescindere dall'impegno sociale, è sempre rimasto a fianco degli ultimi, esprimendo l'ideale del diplomatico dal volto umano, nella certezza che nessuno, in qualsiasi parte del mondo, dovesse essere lasciato indietro". Lo ha affermato il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ricordando in Aula l'ambasciatore Attanasio, ucciso insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo in un agguato nella Repubblica democratica del Congo il 22 febbraio di quattro anni fa.
"Oggi rendiamo omaggio alla memoria di un uomo -ha aggiunto il presidente della Camera- che ha dedicato la propria esistenza al servizio del Paese e a sostegno della cooperazione internazionale. Ma non possiamo non ricordare il coraggio e l’alto senso del dovere dimostrati dal carabiniere scelto Iacovacci che, nel tentativo di proteggere l’ambasciatore, non ha esitato a fargli da scudo con il proprio corpo. Un gesto nobile e generoso che gli è valso il conferimento alla memoria della Medaglia d’oro al valor militare e che riflette i valori più autentici che contraddistinguono le donne e gli uomini dell’Arma".
"Un ringraziamento va anche a tutto il personale civile e militare che, spesso esponendosi a pericoli estremi, svolge un ruolo cruciale nella promozione della pace e dell’assistenza alle popolazioni più vulnerabili in zone di crisi e contesti ad alto rischio. A loro esprimo la mia profonda gratitudine e riconoscenza. Ai familiari dell’ambasciatore Luca Attanasio e di Vittorio Iacovacci, oggi qui presenti, desidero rinnovare la vicinanza mia personale e della Camera dei deputati. Il loro -ha concluso Fontana- è il dolore dell’Italia intera, che non può e non deve dimenticare il sacrificio di chi l’ha servita con onore e disciplina". L'Aula ha quindi osservato un minuto di silenzio.
Kinshasa, 25 feb. (Adnkronos/Afp) - Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, è arrivato nella Repubblica Democratica del Congo. Lo ha comunicato il suo ufficio, mentre è in atto una recrudescenza dei combattimenti nella parte orientale del Paese. Nelle ultime settimane, l'M23, sostenuto dal Ruanda, ha conquistato due importanti città nella Repubblica Democratica del Congo orientale, rafforzando così il suo potere nella regione da quando ha ripreso le armi alla fine del 2021.
"Siamo estremamente preoccupati per i recenti sviluppi in Congo, sappiamo che la situazione è grave, soprattutto nella parte orientale", ha detto Khan ai giornalisti al suo arrivo nella capitale Kinshasa. "Il messaggio deve essere trasmesso in modo molto chiaro: nessun gruppo armato, nessuna forza armata, nessun alleato di gruppi armati o forze armate ha un assegno in bianco. Devono rispettare il diritto umanitario internazionale".
Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l'M23 è supportato da circa 4.000 soldati ruandesi. Sin dalla sua rinascita, gli scontri tra il gruppo e le forze armate congolesi hanno provocato una crisi umanitaria in una regione flagellata da tre decenni di guerre. "Questo è il momento in cui vedremo se il diritto penale internazionale può soddisfare le richieste avanzate dal popolo della Repubblica Democratica del Congo, ovvero l'applicazione equa della legge", ha affermato Khan. "Il popolo della Rdc è prezioso quanto il popolo dell'Ucraina, il popolo di Israele o della Palestina, le ragazze o le donne dell'Afghanistan", ha aggiunto.
Khan incontrerà il presidente Felix Tshisekedi, alcuni ministri, il rappresentante nazionale del Segretario generale delle Nazioni Unite Bintou Keita, nonché le vittime del conflitto e membri della società civile. La prima indagine avviata dalla Cpi nella Repubblica Democratica del Congo risale al 2002. Da allora, il tribunale ha condannato tre persone per crimini commessi nel Paese. Nel 2023, la procura della Cpi ha inoltre avviato un'indagine sulle accuse di crimini commessi a partire da gennaio 2022 nella provincia del Nord Kivu, nella parte orientale della nazione. L'ufficio di Khan, che ha visitato il Paese nel maggio 2023, ha dichiarato all'inizio di questo mese che l'attuale situazione nella Rdc orientale "fa oggetto di un'indagine che è in corso".
Roma, 25 feb. (Adnkronos Salute) - "L'impegno di Danone per far conoscere alle persone l'importanza di un microbiota in salute nasce 35 anni fa, quando lanciammo Activia, un prodotto che ha la vocazione di migliorare il benessere intestinale di tutti gli italiani. Oggi diamo un'accelerazione a questo impegno grazie alla nuova campagna con la quale lanciamo un nuovo strumento: un questionario online molto semplice, creato su basi scientifiche e in grado di dare un risultato, una specie di assessment, sullo stato di salute del microbiota intestinale dei rispondenti". Così Yoann Steri, digital & data director di Danone Italia, in occasione dell'evento 'Innovazione e benessere: il microbiota al centro', organizzato dall'azienda, illustra l'iniziativa del questionario online validato scientificamente da Giovanni Barbara, tra i massimi esperti di microbiota, che analizza lo stato del microbiota intestinale e consente, in modo semplice, di indicare come le abitudini alimentari e, in generale, lo stile di vita influenzano lo stato del microbiota.
"Attraverso il questionario, il rispondente può avere indicazioni e risultati che gli permettono di migliorare il suo stato di salute attraverso l'analisi di diversi fattori, come lo stress, l'attività fisica, la qualità del sonno e la nutrizione, in cui Activia ha un ruolo molto importante", conclude.