Del dibattito pubblico a cui assisto da un anno e mezzo a questa parte c’è una cosa che mi spaventa più di tutte: l’autoproclamata superiorità morale con la quale buona parte di popolazione si sente in diritto di bastonare gli altri. Chi sono gli altri? Cittadini di serie B, in certi casi; ignoranti da educare a colpi di ordini e punizioni, in altri; ma, sempre, nuovi “cattivi” a cui addossare le colpe per le cose che non funzionano.
Vi ricordate? A marzo del 2020 erano i cosiddetti runner, le persone che per il proprio benessere psicofisico, in pieno confinamento sanitario, scendevano di casa la sera per una corsetta. Poi, per un lungo periodo, sono stati i giovani con la birretta fuori da bar e locali appena aperti. Ora sono quelli che sono finiti – immagino, il più delle volte, loro malgrado – nella grande e variegata famiglia di reietti che risponde al nome di “no vax”. E nella quale, lo sappiamo, a parte qualche movimento politico minoritario di estrema destra alla ricerca di consenso, confluiscono soprattutto persone che hanno paura. Ecco un’altra cosa a cui sto assistendo e che mi spaventa: la condanna della paura.
In sostanza chi ha paura – o chi si permette di alzare un dito per sollevare un dubbio – viene subito bastonato da chi non solo ha la verità in tasca, ma ha anche la pretesa di dire “io sono nel giusto e perciò sono migliore di te”. Non c’è più spazio per la paura e non c’è più spazio per il dubbio, perché subito si passa dalla parte del torto. E dunque si è peggio degli altri. Si passa a essere, qualsiasi cosa significhi, “cattivi”.
C’è una recrudescenza del dibattito pubblico – che si ripercuote nella vita di tutti i giorni – avallata dalla politica, che sta producendo una lacerazione nel Paese che vedo difficilmente sanabile, un domani, quando, come speriamo tutti, ci saremo lasciati alle spalle la pandemia. È come se, poco per volta, da quando siamo stati travolti dall’emergenza Covid, lo Stato di diritto avesse lasciato il posto a uno Stato etico, dove ci si si preoccupa di stabilire quali sono i comportamenti virtuosi, da premiare, e quali quelli riprovevoli, da biasimare e punire. Col risultato, inevitabile, che una fetta di popolazione si sente sempre più messa da parte e abbandonata.
C’è stato un intervento di qualche giorno fa, secondo me esemplificativo, del ministro Roberto Speranza. Alla Festa dell’Unità a Bologna, in merito all’obbligatorietà del green pass, ha detto che “non ci sono compromessi al ribasso di natura politica, perché queste materie sono troppo delicate per buttarle su un dibattito politico del tutto improprio su materie così rilevanti”. E ancora, in merito all’obbligo vaccinale, ha detto che “se qualcuno pensa che si fa una mediazione politica, la discussione… no, ci sederemo coi nostri scienziati e valuteremo cosa converrà al nostro Paese”.
Ciò che mi sorprende, al di là della scelta, e cioè se sia giusto o sbagliato inserire l’obbligo del green pass o l’obbligo vaccinale, è la totale chiusura alla discussione, al confronto. Sono materie troppo delicate, niente dibattito politico, niente mediazione. Con un’aggravante, cioè quella di mascherare una decisione tutta politica dietro il salvifico approdo “dei nostri scienziati” coi quali “ci siederemo”.
Detto ciò, vengo a ciò che ha stabilito il governo in questi giorni. Per me il discorso è abbastanza semplice: vaccinarsi è un diritto e, per come stanno le cose ora, anche non vaccinarsi lo è. Avere il vaccino gratis – che fortuna che abbiamo ad averlo, noi occidentali! – è un diritto, così come lo è il lavoro. E dunque gratuito dev’essere il tampone che, al momento, permette di avere il green pass e di conseguenza di accedere al proprio luogo di lavoro. Aggiungo, infine, che in un Stato di diritto – contrariamente a quanto accade in uno Stato etico – nessuno dovrebbe biasimare (meno che mai lo Stato) chi sceglie di non vaccinarsi, poiché non esiste alcun obbligo a farlo.