Sono ancora le dichiarazioni dell’unico dei dieci terroristi sopravvissuto agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 a caratterizzare la nuova udienza del processo agli autori delle stragi allo Stade de France, al Bataclan e davanti ai bistrot parigini. Salah Abdeslam ha nuovamente preso la parola in aula e rivolgendosi ai presenti, a commento di uno dei video dell’attentato, è arrivato a fare appello al “dialogo” davanti alle immagini dei suoi compagni in armi tra le fila dello Stato Islamico, tra cui suo fratello Brahimi, che aprivano il fuoco contro gli avventori del caffé La Belle Equipe, uccidendo 21 persone.
Parole che hanno generato risate nervose e imbarazzate in aula perché pronunciate da un terrorista appartenente a un’organizzazione che non ha mai considerato, tantomeno adesso, il dialogo una strada praticabile. Queste immagini “prese fuori contesto, sarei il primo a condannarle, ma se le contestualizziamo, non posso condannarle”, ha detto Abdeslam di fronte ai giudici introducendo così la tesi esposta già qualche giorno fa, quando ha dichiarato che gli attentati sono stati una risposta all’intervento della Francia contro lo Stato Islamico in Iraq. Una risposta contro i civili a quella che lui e il suo gruppo terroristico consideravano un’aggressione, quindi.
E ha poi aggiunto: “Ci si può fare la guerra, uccidersi, detestarsi, ma la porta del dialogo deve sempre rimanere aperta“. Parole così distanti dal modus operandi dei miliziani dell’Isis da provocare la risposta del presidente della corte, Jean-Louis Périès: “Sparare col kalashnikov sui civili sulla terrazza di un ristorante, non è così che si dialoga”, ha detto rivolgendosi all’imputato. Che però ha deciso di replicare sostenendo che il “13 novembre era inevitabile”, ma che il “dialogo” potrebbe servire ad evitare altri attacchi terroristici. Il membro delle Bandiere Nere ha poi concluso ricordando che i terroristi del commando che causò 130 morti a Parigi erano suoi “fratelli”. “Lo avevamo capito”, ha commentato il presidente della Corte.