Ci si aspettava un miglioramento, ma non così rapido. Ferdinando De Giorgi, dal primo luglio commissario tecnico della nazionale italiana di pallavolo maschile (ma ha preso in mano la squadra solo dopo i Giochi), centra all’esordio il primo obiettivo, gli Europei, vincendo al quinto set contro la Slovenia a Katowice (Polonia). Ci è riuscito restituendo vitalità a una squadra uscita a pezzi dalle Olimpiadi di Tokyo e riportando l’Italia a vincere una medaglia d’oro che mancava dal 2005. È il risultato del lavoro compiuto con una squadra giovane nel giro di un mese scarso: “Questa sera hanno dimostrato di un essere un vero gruppo, unito, che ha saputo condividere e ricompattarsi quando sembrava il momento più difficile”, ha dichiarato a festeggiamenti in corso.
Bisogna tornare al 3 agosto scorso a Tokyo, quando l’Italia ancora allenata da Gianlorenzo Blengini viene eliminata ai quarti di finale del torneo olimpico dall’Argentina, squadra forte, ma non irresistibile. Sì, Ivan Zaytsev è fuori forma (si scoprirà soltanto dopo aver un infortunio al ginocchio), ma quello che sembra mancare a moltissimi azzurri è soprattutto la testa, la mentalità, mentre agli argentini la “garra” non manca affatto. Un ciclo si stava chiudendo, quello di Blengini che dopo l’argento alle Olimpiadi di Rio 2016 ha mancato ogni obiettivo. Osmany Juantorena, uno dei pochi a lottare fino alla fine, dava il suo addio cedendo la sua maglia numero 5 al fenomeno 19enne Alessandro Michieletto (la indosserà dalla prossima stagione azzurra). Dei dodici convocati in Giappone, sei sono tornati ad allenarsi sotto la guida di De Giorgi: il palleggiatore Simone Giannelli, diventato capitato, e la sua riserva Riccardo Sbertoli, i centrali Simone Anzani (il più “anziano” del gruppo) e Gianluca Galassi, gli schiacciatori Michieletto e Daniele Lavia. Poi una serie di giovani (Fabio Ricci, Lorenzo Cortesia, Francesco Recine, Mattia Bottolo, Fabio Balaso, Alessandro Piccinelli, Giulio Pinali e Yuri Romanò), tutti ragazzi che hanno passato quei mesi di luglio e agosto ad allenarsi sotto la guida del nuovo ct. Età media 24 anni circa, la più bassa del torneo.
Tolti i reduci di Tokyo, titolari fissi nei loro club della passata stagione (Giannelli e Michieletto nel Trentino Volley, Sbertoli con la Powervolley Milano, Galassi al Verovolley Monza, Balazo e Anzani alla Lube Civitanova), agli Europei c’erano alcuni che nei club non sempre partono titolari. Lavia, nelle ultime stagioni alla Leo Shoes Modena, ha faticato per conquistarsi il posto. Lo stesso si può dire di Ricci, centrale della Sir Safety Conad Perugia, dove gioca anche il secondo libero, Piccinelli, una riserva. Cortesia a Trento sedeva in panchina. Altri si sono conquistati la convocazione in nazionale giocando in squadre di metà classifica: Bunge Ravenna o Kioene Padova. Romanò è stata una rivelazione soprattutto perché non ha mai giocato in Superlega, ma in Serie A2 (prima a Bergamo, poi a Siena), e presto esordirà nella massima serie con Milano, dove però sarà riserva di Jean Patry, opposto della Francia vincitrice delle Olimpiadi. Entrare in campo a freddo, quando la situazione è complessa, è una qualità importante. Ci vogliono concentrazione, riflessi e voglia di rivalsa. Molte di queste riserve eccellenti l’hanno dimostrato. Piccinelli, ad esempio, in una sola fase di gioco ha fatto evitato per tre volte consecutive che il pallone cadesse a terra. Appena entrato, Ricci ha subito messo a segno un muro, una fase di gioco che ieri non ha reso come altre volte. Romanò nel tie-break, dopo i primi tre punti degli sloveni, ne ha fatti quattro di fila permettendo all’Italia di non spegnersi. “Nel percorso hanno preso sempre più responsabilità”, ha detto De Giorgi spiegando la crescita dei suoi ragazzi.
Giovani di belle speranze guidati con sapienza da un veterano della maglia azzurra. Fefé, nato a Squinzano (Lecce) sessant’anni fa, l’ha indossata 330 volte da giocatore, nonostante i suoi 178 centimetri di altezza. Nel 1987 Silvano Prandi lo convoca in nazionale dopo una stagione come palleggiatore alla Panini Modena, allenato da un tal Julio Velasco che ritroverà nel 1989, quando l’argentino va a sedersi sulla panchina dell’Italia e porta De Giorgi agli Europei in Svezia, con il primo oro che segna l’inizio della “Generazione dei fenomeni”. Di quella stagione De Giorgi è stato un protagonista costante: ha portato a casa tre mondiali (1990, 1994 e 1998). Volente o nolente, qualcosa dal metodo di Velasco ha ereditato. Lo si è potuto vedere nel time out del secondo set, quando sul 10 pari sprona con pacatezza i suoi: “Vi posso dire una cosa? Noi stiamo facendo la finale dell’Europeo, siamo 10 pari davanti e avete delle facce come per dire: ‘C…, stiamo facendo fatica’”. Sembrava dire loro: “Siete lì, siete forti, ma avete paura. Abbiate fiducia”. Ha funzionato.