La letteratura scientifica definisce “energia grigia” quella necessaria per produrre, per trasportare, per smaltire un prodotto o un materiale e per assicurare un servizio, l’energia di un ciclo completo di un prodotto o di un servizio. Fino ad oggi l’energia grigia è stata nascosta e le multinazionali di tutto il mondo, comprese quelle che producono energia, hanno realizzato extra profitti, aumentando le loro ricchezze grazie alla possibilità di abbassare i costi sul lavoro e sul rispetto dell’ambiente delocalizzando in tutti quegli Stati che facevano carta straccia di diritti e della tutela della nostra ricchezza ambientale planetaria.

La politica in questi anni ha lasciato fare e costruito autostrade per chi in nome del profitto ha dettato legge sugli effetti sociali ed ambientali e non ricordo alcun freno contro le politiche predatorie ed estrattive, né proposte alternative.

Non a caso le prime norme di contrasto alle delocalizzazioni delle imprese sono state scritte nella legislazione italiana dal governo del M5S con Conte Presidente del Consiglio ed oggi la sottosegretaria Alessandra Todde e il ministro Orlando vogliono aggiornare quelle normative per evitare che il nostro paese venga solo sfruttato, consumato e buttato nel cestino a spese del contribuente, dei lavoratori e delle piccole e medie imprese che subiscono concorrenza sleale a vantaggio di pochissimi amministratori delegati e di grandi conti in banca.

Nel 2023 anche l’Unione Europea reagisce a nuove tipi di delocalizzazioni che possono colpire tutti gli Stati membri, quelle di alcune tipologie di aziende che scelleratamente in cerca di un maxiprofitto oggi, vogliono continuare la corsa di domani verso la devastazione ambientale prodotta da emissione di CO2 decidendo di andare negli “inferni dei diritti” e “inferni della biosfera”, che tanto piacciono ad alcune multinazionali, ovvero quegli Stati che garantiscono una violazione sistematica dei diritti sul lavoro e della tutela dell’ambientale incidendo sulle conquiste di civiltà che abbiamo costruito lungo decenni di lotte.

Lo strumento che individua l’Ue per fermare tutto questo è il Cbam (carbon border adjustment mechanism) che finalmente introduce il concetto di emissione di Co2 importata per evitare di avvalersi di un fornitore non-Ue più inquinante senza incorrere nel sovrapprezzo. Sarebbe un ottimo strumento per garantire alle nostre imprese di affrontare la transizione ecologica senza subire concorrenza sleale e sarebbe un acceleratore incredibile per salvare il nostro pianeta dalle devastazioni ambientali che non lasciano scampo a nessuno.

Lo stesso ministro della Transizione Ecologica italiano ricorda che senza porre subito rimedio a questa folle corsa all’inquinamento nel 2050 avremo in Italia territori desertici non più coltivabili e una temperatura media al sud di 52 gradi, un futuro che dobbiamo evitare ai nostri figli e ai nostri nipoti se solo vogliamo continuare a guardare negli occhi i nostri bambini.

Tuttavia l’Europa non sembra avere la forza sullo scacchiere internazionale per accelerare questo strumento che immagina pienamente operativo solo nel 2030, un po’ tardi per raggiungere gli obiettivi dell’agenda dello sviluppo 2030 dell’Onu!!

L’Europa rinuncia a 9 miliardi all’anno che potrebbero essere subito utilizzati proprio per aiutare cittadini e imprese con basso reddito che devono fronteggiare gli aumenti speculativi dell’energia.

Giovedì in Parlamento grazie al M5S si approverà una mozione contro gli aumenti dei costi delle bollette e deve essere questa l’occasione per chiedere all’Europa un’accelerazione nell’utilizzo del Cbam per finanziare come comunità europea un fondo di abbattimento dei costi delle bollette per i più fragili che rischiano grosse difficoltà economiche prodotte dagli aumenti dei costi dell’energia. Puntiamo ad intervenire strutturalmente nelle bollette energetiche perché sono intollerabili extra profitti e delocalizzazione dell’inquinamento e perché abbiamo un’unica aria da respirare in questo pianeta.

Abbiamo l’occasione di impegnare il COP26 che presediamo insieme alla Gran Bretagna e il G20 presieduto da Draghi su un tema concreto che ha il vantaggio di chiarire la direzione della transizione che deve essere social-ecologica. Una scelta in linea con lo stesso pacchetto Fit for 55 che l’Unione Europea deve adottare per ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990 e che prevede l’istituzione di un Social climate fund, pensato proprio per aiutare i cittadini più deboli che possiamo subito riempire di 9 miliardi senza aspettare il 2030.

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