Oggi a Gaza è un giorno come tutti gli altri, in cui la speranza di una vita normale senza la minaccia e gli effetti della guerra con cui fare i conti, appare un tenue lumicino in fondo ad un tunnel di cui non si intravede la fine. A quasi quattro mesi di dagli ultimi scontri e dai pesanti bombardamenti dell’operazione israeliana “Guardiano delle Mura”, la situazione umanitaria nella Striscia resta gravissima: l’80% della popolazione dipende dagli aiuti umanitari per sopravvivere, il 60% delle persone soffrono di insicurezza alimentare e ogni giorno per quasi tutti è una strenua lotta per procurarsi l’acqua pulita per i bisogni più essenziali. Solo 1 famiglia su 10 ha accesso diretto all’acqua potabile.

Durante gli 11 giorni di bombardamenti di maggio, più di 2.000 abitazioni sono state distrutte 330 scuole, 10 ospedali, 22 ambulatori medici danneggiati, colpite le reti elettrica e idrica.

“Le condizioni di vita a Gaza peggiorano giorno dopo giorno, la popolazione continua a crescere e le risorse diminuiscono. Il blocco imposto ha paralizzato tutti gli aspetti della vita. A Gaza hai la formula completa per la disperazione e l’agonia, e le persone devono sforzarsi ogni giorno per mettere il cibo e l’acqua potabile in tavola. I pazienti devono aspettare a lungo i loro permessi di viaggio per ricevere i farmaci in Cisgiordania o in Israele, i bambini in molti casi devono viaggiare da soli negli ospedali perché ai loro genitori viene negato l’ingresso, per non parlare delle scarse infrastrutture sanitarie a Gaza, che non sono in grado di gestire i pazienti Covid-19”. Così la settimana scorsa Sami Alhaw, responsabile della comunicazione di Oxfam a Gaza, ha raccontato la crisi ad un gruppo di parlamentari italiani nel corso di un incontro sulla crisi.

Già perché nel frattempo la ricostruzione non è ancora iniziata e quel che si è fatto è semplicemente liberare le strade dai detriti. Sappiamo che solo da pochi giorni – attraverso il varco di Karem Shalom – hanno iniziato ad entrare i primi materiali, a seguito di un lungo negoziato (mediato dall’Egitto) per un cessate il fuoco di lungo periodo.

Conosciamo però come ha funzionato la ricostruzione a seguito dell’operazione “Margine di Protezione” del 2014: male e lentamente.

Il Gaza Reconstruction Mechanism – un accordo tra Nazioni Unite, Autorità Palestinese e Governo di Israele formalmente nato sia per superare le difficoltà imposte dal blocco e per garantire la sicurezza di Israele – si è rivelato uno strumento di controllo da parte di Israele che ha legittimato e rafforzato il blocco su Gaza.

Tra i vari punti critici di una situazione che appare di stallo permanente, vale la pena evidenziare la questione della “dual use list”: un elenco di beni destinati teoricamente a un uso sia militare che civile, e che per questo subisce controlli e ritardi anche di 8-12 mesi. Di fatto con questo meccanismo sono proprio i materiali edili e infrastrutturali, agricoli (fertilizzanti, pesticidi) necessari a ripartire che non entrano a Gaza.

Come Oxfam chiediamo quindi che la comunità internazionale impari dagli errori del passato e, quale che sia l’accordo per la ricostruzione, promuova un sistema capace di rimuovere le barriere allo sviluppo economico della Striscia, superando una volta per tutte la logica del blocco, che altro non è che una punizione collettiva che dura da 14 anni.

È cruciale assicurare un piano con vincoli temporali e meccanismi di controllo e verifica degli avanzamenti intermedi, utile a chiarire le responsabilità in caso di mancato avanzamento. Perché a fare le spese della situazione attuale sono oltre 2 milioni di persone che in questo momento non hanno un futuro.

L’età media della popolazione di Gaza è di 18 anni. Ebbene, in questi 18 anni abbiamo assistito a 4 operazioni militari e un blocco di 14 anni che limita gravemente l’ingresso e l’uscita di persone e beni. Gaza è il posto dove le falde acquifere sono inquinate, dove gli scarichi finiscono direttamente in mare, dove c’è una delle densità abitative più alte del mondo e dove c’è energia elettrica solo per poche ore al giorno. Nel 2012, un “famoso” rapporto delle Nazioni Unite prevedeva che Gaza nel 2020 sarebbe diventato un luogo invivibile: gli indicatori attuali sono peggiori delle previsioni, ma nulla sembra cambiare.

Oggi si ricorda la Giornata Internazionale della Pace e la domanda è: come si può pensare ad una Pace duratura quando un’intera popolazione ha visto e sperimentato solo fame, restrizioni e distruzione?

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