di Carmelo Sant’Angelo

C’è un genere di intrattenimento (oggi diremmo “format”) che conosce una fortuna millenaria: le fabule atellane. Sono delle antichissime farse popolari, risalenti ad alcuni secoli prima di Cristo, ideate dalle popolazioni osche della Campania, in particolare ad Atella, da cui presero il nome. Si tratta di scenette di genere basate sul contrasto fra personaggi stereotipati, quali: il padrone avaro e il servo geloso, il contadino sciocco e il passante intelligente, il vecchio innamorato e il giovane rivale… La trama si riduce a un semplice canovaccio sul quale gli attori improvvisavano.

Il sistema del teatro con personaggi fissi, stereotipati e sempre uguali a se stessi, viene perpetuato nella cosiddetta Commedia dell’arte. Le maschere tradizionali del carnevale italiano sono, infatti, eredi dei personaggi plautini: Maccus, Buccus, Pappus e Dossennus. Si riteneva che questo genere teatrale fosse morto con Goldoni e, invece, come araba fenice, è risorto più vigoroso che mai negli odierni talk show televisivi. I personaggi hanno subito un restyling, ma ci sono sempre: il padrone avaro; il servo sciocco e fedele; il sapiente; il vecchio innamorato; l’uomo probo e irreprensibile…

Segnalo, però, una mutazione genetica che sta intervenendo solo di recente. Fuor di metafora, mi sono accorto che, da qualche mese, l’apparizione del dottor Piercamillo Davigo suscita buonumore tra i presenti in studio. All’inizio ho pensato che anche loro fossero contenti di ascoltare discorsi assennati e giuridicamente puntuali. Da quando ho, invece, capito che non si trattava di “buonumore”, ma di “ilarità”, allora conto fino a 5 attendendo di ascoltare, dal primo servo fedele che prende la parola, la seguente affermazione: “Ma anche la Magistratura è delegittimata, vedi il caso Palamara”.

Dopo questa affermazione si susseguono, all’interno della classe ancillare, sorrisetti di approvazione e gomitate di apprezzamento. “Mal comune, mezzo gaudio.” Sono contenti di screditare l’intera magistratura e minarne la fiducia agli occhi dei cittadini. È come se dicessero: “non andate negli ospedali italiani perché ci sono primari nominati e incapaci, per cui è alto il rischio di rimanere sotto i ferri”. Evidentemente ciò gli procura soddisfazione. Si cela la nuda verità dei fatti: alcuni esponenti politici brigavano con pochi magistrati per nominare capi delle Procure dotati di spiccato tatto nella gestione delle controversie giudiziarie dei maggiorenti politici. I cittadini, in questa partita, sono totalmente estranei.

Si occulta, inoltre, che oggi raccogliamo il frutto avvelenato della gerarchizzazione delle Procure, voluta dalle riforme Castelli e Mastella. Qualche servo più spudorato afferma addirittura che la Magistratura si è meritata la Riforma Cartabia. Sarebbe, dunque, una vendetta. Peccato che i magistrati saranno gli unici a beneficiarne. Anziché scrivere corpose motivazioni, per giustificare l’adozione della prescrizione rispetto alla più benevola assoluzione, dovranno limitarsi a compilare un prestampato che dichiari “l’improcedibilità”.

Di fronte ai 130mila morti in 2 anni di pandemia si sono mobilitate le più alte cariche dello Stato, rimaste mute o balbuzienti, invece, sui 130mila processi che ogni anno si estinguono per prescrizione. Dietro ogni prescrizione c’è almeno una vittima che non avrà giustizia. Ci sono i parenti dei caduti sul lavoro che non riceveranno risarcimenti, né materiali né morali. Ci sono donne violentate costrette a incrociare i loro aguzzini; madri che hanno perso il figlio in un incidente stradale impaurite che l’investitore possa essere, magari ubriaco, ancora alla guida di un automezzo…

La riforma Cartabia, come una bomba “intelligente”, farà migliaia di vittime collaterali, ma ciò non importa perché è giusto salvare i colletti bianchi. Da devota adepta di Cl, il ministro deve tradurre in legge un chiaro precetto evangelico: “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Regina Coeli”.

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