Noto per la sua ricchezza di acidi grassi Omega-3, antiossidanti, proteine, iodio e vitamine D, A e B12, il salmone in realtà potrebbe presentare rischi per la nostra salute legati alla qualità e causare danni ambientali dovuti al suo allevamento. Molte perplessità ci sono rispetto al benessere animale, al cibo con il quale viene nutrito nelle vasche, agli inquinanti che può assorbire e che finiscono dritti nel nostro piatto, oltre che alle malattie connesse alle condizioni di allevamento.
L’attivista Don Staniford, dell’associazione scozzese “Scottish Salmon Watch”, ha dichiarato che “in una vasca da 30 metri di diametro possono essere rinchiusi fino a 100mila esemplari”. E che succede? Si tratta di condizioni di vita insostenibili per pesci abituati ad avere spazio e che si trovano compressi, quasi senza possibilità di nuotare. È più che un sovraffollamento, esattamente come avviene per gli animali allevati a terra: si favorisce il proliferare di malattie e parassiti; tra questi i pidocchi di mare che mangiano letteralmente vivi i salmoni e l’uso di sostanze chimiche per contrastarli. Ma l’organizzazione dei produttori scozzesi di salmoni non ci sta e si difende: “La spesa in farmaci da parte del settore scozzese del salmone è scesa del 47% tra il 2015 e il 2018, e la tendenza continua”. E aggiungono: “Dobbiamo poi sottolineare che tutti i farmaci e i prodotti che possiamo usare sono approvati dalle autorità scozzesi, bilanciando il benessere degli animali con la tutela dell’ambiente selvatico in cui sono allevati”. È chiaro che si tratta di una situazione che non riguarda tutti gli allevamenti – ce ne sono altri che praticano un allevamento distensivo, dove i salmoni vivono con possibilità di muoversi, consumano mangimi naturali e nell’acqua non si trovano sostanze chimiche, non si fa ricorso a coloranti e antibiotici – ma in quelli che seguono i metodi orribili appena descritti si gettano centinaia di migliaia di litri di sostanze chimiche nell’acqua per evitare la diffusione di malattie e queste sostanze poi finiscono dritte nel nostro piatto, impregnate nel pesce.
Infine, c’è il benessere animale durante la macellazione. Pesci uccisi prendendoli ripetutamente a martellate, per poi procedere a tagliare e strappargli le branchie, quando sono ancor vivi. Non c’è che dire, un quadro scandaloso che emerge anche in un rapporto di Compassion in World Farming (Ciwf) e OneKind, organizzazioni non governative, che parlano di “gravissime violazioni del benessere animale” nella quasi totalità degli allevamenti scozzesi. Allevamenti che negli ultimi 10 anni, in Scozia, hanno fatto registrare tassi di crescita pari al 41%. Nel 2019 nel Paese si sono prodotte quasi 200mila tonnellate di salmone Atlantico, destinato per lo più all’esportazione. Ma l’industria scozzese si pone obiettivi ancora più ambiziosi: il raddoppio della produzione entro il 2030. Da considerare anche l’atteggiamento della Commissione europea che considera lo sviluppo dell’acquacoltura un elemento cardine di quella che viene definita Blue Economy e del Green Deal. Così, a quanto riportano le autorità scozzesi, nel periodo che va dal 2014 al 2020, gli allevatori scozzesi hanno ricevuto 23 milioni di euro, ripartiti fra fondi nazionali ed europei. C’è da considerare, poi, che la Scozia è tra i primi quattro produttori al mondo insieme a Norvegia, Canada e Cile (insieme rappresentano il 96% della produzione mondiale di salmone allevato e il 50% di tutto il salmone prodotto) e per il Paese l’industria collegata ha un valore di circa 2 miliardi di sterline l’anno. Un ultimo dato. Si valuta che i costi di questi allevamenti siano stati stimati in 1,4 miliardi di sterline dal 2013 al 2019. L’Italia è fra i primi 10 importatori di salmone scozzese.
Uno su quattro non sopravvive – Ma torniamo alle violazioni che portano alla morte prematura di ingenti quantità di salmoni. A leggere le stime della Ong Ciwf, ogni anno, circa il 28,2% dei salmoni inseriti nelle “gabbie d’acqua” muore in seguito alle condizioni di allevamento. È questa la ragione per cui Ciwf vuole un’immediata moratoria per bloccare il proliferare di questo modo di condurre l’allevamento. È chiaro quanto scrive: “A un settore in cui un salmone su quattro non sopravvive al periodo di ingrasso non dovrebbe essere permesso di espandersi ulteriormente”. Questo modo di procedere causa la morte di milioni di salmoni che finiscono accatastati e sepolti in una fossa comune, fa pensare più a una discarica. Una situazione orrida svelata da due inchieste internazionali. “I dati indicano che tra i 4,4 e gli 8,9 milioni di salmoni sono stati inceneriti, sepolti o mandati in discarica nel 2020”, rivela un’indagine pubblicata dall’organo di informazione scozzese The Ferret, che ha sguinzagliato i suoi investigatori per verificare la conduzione degli allevamenti. E come ha risposto l’industria scozzese del salmone? Che le carcasse “sono gestite nel pieno rispetto delle normative del governo scozzese e che si sta impegnando per attivare forme di economia circolare”, per quanto riguarda la grande quantità di materiale organico gettato in discarica.
È evidente che qualcosa non torna, numeri così elevati di salmoni morti prima del tempo non possono che essere in relazione al proliferare di parassiti e malattie negli allevamenti intensivi scozzesi, ribadiscono le Organizzazioni non governative. E quali sono le malattie di cui possono soffrire i salmoni? Si segnalano la malattia nodulare branchiale (Agd); l’anemia infettiva del salmone (Isa); la cardiomiopatia (Cms) e la pancreatite (Pd). Ci sono i dati resi pubblici nel 2020 dal Fish Health Inspectorate, a leggere i quali il 64% dei casi di morte registrati nel 2019 dipendono dalle malattie e dai trattamenti sanitari effettuati. E mentre in Europa si dibatte su questi dati, il primo luglio scorso l’Argentina è stato il primo paese al mondo a rendere illegali gli allevamenti di salmoni. Lo hanno deciso i legislatori della Terra del Fuoco, nel sud del paese, che giovedì hanno votato all’unanimità una nuova legge che vieta ufficialmente quest’industria in tutta la zona.
Migliaia di escrementi nei fondali – La situazione in ogni caso riguarda gli allevamenti intensivi in generale, non solo quelli scozzesi su cui ci siamo concentrati in questa inchiesta. Allevamenti che si sono moltiplicati a dismisura, mentre gli stock di salmone selvatico sono ben lontani dal ripopolamento: quello Atlantico è addirittura in estinzione, mentre quello del Pacifico è in grave calo. Gli allevamenti intensivi presentano altre criticità, oltre a quelle segnalate. Per esempio, i reflui non vengono mai lavati via e si lasciano semplicemente cadere attraverso le reti. Pensateci, è come se non cambiaste mai la sabbietta al vostro gattino. Il risultato sono migliaia di tonnellate di escrementi e rifiuti che si depositano nel fondale intorno agli allevamenti che non vengono mai rimossi. 600mila salmoni che nuotano in una zuppa di muco ed escrementi alimentano le mutazioni di agenti patogeni che si diffondono dall’Atlantico fino al nostro “supermercatino” sotto casa.
I salmoni di allevamento spesso sono colorati di rosa per imitare i salmoni selvaggi. I produttori utilizzano Salmo Fan per ottenere il colore che il mercato richiede. Come fanno? Aggiungono il colorante nel mangime, facile. Ad aprile 2013, la Norvegia ha ottenuto il consenso dell’Unione Europea per aumentare le quantità di Endosulfano nei mangimi. Sapete che cosa sia? Un pesticida mega tossico bandito in numerosi Paesi.
Di fatto, gli allevamenti intensivi non sono assolutamente efficienti e per ottenere un kg di salmone ne servono almeno 5 di altri pesci. E contribuiscono largamente alla riduzione degli stock ittici che sta portando all’estinzione di molte specie. Ovunque ci siano allevamenti di salmone intensivi si è registrato un calo drastico dei salmoni selvatici.
Pesce azzurro come mangime – Qual è un’altra delle maggiori contraddizioni di questo sistema di produzione? Pensate che, per alimentare i salmoni nelle vasche, si impiega una notevole quota di pesce selvatico, soprattutto pesce azzurro. Il risultato? Si sottrae al consumatore quasi un quinto del pescato selvatico annuale mondiale, pari a circa 18 milioni di tonnellate l’anno. E che si fa col pescato? Mangimi (in particolare farina e olio di pesce) che per una quota del 70% sono destinati ad allevamenti come quelli del salmone.
Infine, c’è la questione ambientale. Sì, perché i rifiuti organici e chimici degli allevamenti di salmone possono uccidere la vita marina sul fondo del mare. I rifiuti degli allevamenti determinano una cattiva qualità dell’acqua e il crearsi di fioriture algali dannose. E che dire di medicinali e sostanze chimiche, come gli antibiotici e gli insetticidi? Sono rilasciati nell’ambiente, e molti di questi sono noti per essere tossici per i pesci e altri organismi marini, così come per gli uccelli e i mammiferi. “I danni più ingenti sono per l’ecosistema circostante”, ricorda Andrea Miccoli, professore di Biotecnologie animali all’università di Viterbo. La lezione da imparare, secondo il docente, è quella di percorrere soluzioni più sostenibili per la salute del nostro organismo e la natura. Le tecnologie ci sono, alcuni allevatori iniziano ad applicarle.
Quelli che allevano responsabilmente – Esistono infatti delle alternative, quelle dell’allevamento distensivo, più che intensivo. In questo caso, gli animali hanno la libertà di muoversi agevolmente, assumono mangimi naturali e privi di sostanze chimiche. Un salmone che proviene da allevamenti a vita selvaggia si riconosce facilmente in due mosse. Nella prima, premendo la “carne” del filetto con un dito, si vedrà che l’impronta torna indietro. In un salmone grasso, allevamento intensivo, rimane l’impronta. La carne di un salmone da allevamento intensivo presenta lungo tutto il filetto delle striature bianche, il grasso. Poi, c’è la certificazione. In quella ASC (Aquaculture Stewardship Council), i pesci vengono nutriti con mangimi più sostenibili e protetti dalle malattie usando una quantità minima o nulla di sostanze chimiche e antibiotici, e l’impatto degli allevamenti sull’ambiente viene ridotto al minimo. Inoltre, scegliendo di consumare pesce di allevamento si garantisce la disponibilità delle risorse ittiche per le generazioni future.
Tornando alla Scozia, il Mowi Scotland ha ottenuto la certificazione dall’Aquaculture Stewardship Council (ASC) per quattro dei suoi allevamenti di salmone in mare. Salgono così a otto in totale gli allevamenti scozzesi in mare e in acqua dolce certificati ASC. Gli allevamenti Mowi di salmone a Loch Linnhe, Gorsten, Marulaig Bay e Stulaigh si uniscono agli allevamenti di Loch Leven, Arkaig, Glenfinnan e Lochy. Questa è una tappa significativa verso l’obiettivo dichiarato da Mowi di raggiungere il 100% di allevamenti certificati ASC, in tutto il mondo. La certificazione ASC è il risultato degli Aquaculture Dialogues, intrapresi da WWF Usa. ASC ha istituito un set di performance ambientali e sociali con livelli misurabili, con l’obbiettivo di ridurre o eliminare l’impatto dell’allevamento del salmone sull’ambiente. ASC lavora con scienziati, associazioni ambientaliste, ONG, industrie ittiche, industrie di trasformazione di prodotti ittici, aziende di distribuzione e di ristorazione e consumatori, per riconoscere e premiare l’acquacoltura responsabile. Gli standard ASC per il salmone e la trota sono ampiamente riconosciuti come gli standard ambientali e sociali più solidi e di ampia portata per l’acquacoltura responsabile globale. Poi, c’è Friend of the sea, che certifica sia la pesca che l’allevamento.
Articolo di Massimo Ilari
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