Roberta Vodola è originaria di Atella, in provincia di Potenza, ma ha studiato a Varese. Sette anni fa è partita per Sydney dove ha iniziato a lavorare come dentista: "Non volevo rimanere a Varese. Anche la vicina Milano, per quanto sia una città dinamica, aveva poca attrattività: già mi immaginavo imbottigliata nel traffico per ore"
“Temevo per la qualità della vita che avrei potuto avere in Italia, qui ho trovato un angolo di paradiso inaspettato, conquistato, però, non senza impegno e sacrificio”. Roberta Vodola, 32 anni, originaria di Atella, in provincia di Potenza, nel 2014 è partita per Sydney dove oggi lavora come dentista. “In Australia c’è una flessibilità lavorativa che difficilmente avrei potuto avere nel nostro Paese. Oggi sono padrona del mio tempo”.
Dopo una laurea in Odontoiatria a Varese e il successivo esame di abilitazione, Roberta decide di prendersi un anno sabbatico per migliore l’inglese: “Ho fatto una prima esperienza nelle farm e poi sono tornata con l’idea di conoscere l’ambiente odontoiatrico australiano”. E l’attesa per trovare una posizione in una studio privato non è poi così lunga: tre giorni. “Cercavo un lavoro da assistente, omettendo il mio titolo di studio, sia perché dovevo avviare la procedura di riconoscimento, sia per lo scoglio linguistico: ho abituato l’orecchio nel corso del tempo” confessa al Fatto.it. Pur non avendo nessuna esperienza riceve da subito uno stipendio che le permette di essere autonoma: “Da lì ho iniziato a pensare alla convalida del titolo, non sapevo ancora che avrei dovuto affrontare una burocrazia che non ha nulla da invidiare a quella italiana”.
Le specializzazioni sanitarie hanno un occhio di riguardo all’estero, ma il percorso di riconoscimento dei crediti è complesso: “Un peccato se si pensa che campi come quello ingegneristico sono molto più facilitati in questo senso”, afferma Roberta. Impiega un anno solo per presentare la documentazione: “Soprattutto la convalida dei crediti ha necessitato un lungo iter, il mondo accademico australiano è abituato ad avere stretti contatti con quello asiatico e poco con quello europeo, almeno per i piccoli atenei, c’è meno fiducia”. Poi bisogna superare un esame composto da due prove: scritta e di pratica. “Ci si può iscrivere solo ogni sei mesi e i posti sono limitati. E per superarlo ho dovuto farlo due volte, tagliandomi le ore lavorative per studiare”. Un percorso non privo di sacrifici, anche economici: “In tutto ci ho messo tre anni e oltre 25mila dollari: sono orgogliosa di aver fatto questo investimento con i miei guadagni qui, senza dover chiedere nessun aiuto”.
Nelle parole di Roberta c’è il riscatto di chi non ha ceduto alle difficoltà, perseguendo, giorno dopo giorno, il proprio obiettivo. “Non volevo rimanere a Varese. Anche la vicina Milano, per quanto sia una città dinamica, aveva poca attrattività: già mi immaginavo imbottigliata nel traffico per ore, stretta in un ambiente lavorativo poco flessibile”. Nel quartiere di Sydney dove vive, a pochi minuti dal centro, c’è il verde, c’è il mare. “Qui non tutti lavorano full-time, c’è molta flessibilità, non c’è la cultura dei sei giorni lavorativi settimanali. Se hai bisogno di prenderti delle ferie puoi pianificarle quando vuoi”. Cambiare lavoro non deve diventare per forza un salto nel buio. “So che posso scegliere se spaziare in altri ambito del mio campo, nessuno ti etichetterà per cosa hai fatto fino a quel momento”.
La pandemia l’ha bloccata in casa per alcune settimane. “In Australia non si è sentita veramente fino a qualche mese fa e purtroppo la popolazione ha iniziato a vaccinarsi in ritardo rispetto altri continenti, forse perché si sentiva al sicuro una volta chiusi i confini durante la prima ondata in Europa”. Il Nuovo Galles del Sud è lo Stato del continente più colpito dalla variante Delta. “Stiamo sperimentando il primo vero lockdown, ma non ne sento il peso. Posso spostarmi tra le cliniche per cui lavoro e fare sport all’aperto. Certo, non possiamo ricevere ospiti in casa e i nostri spostamenti sono limitati, ma la campagna vaccinale sta prendendo piede e sono fiduciosa”.
In un periodo simile un pensiero va sempre alla famiglia: “Sono molto legata a loro, spero di poterli vedere presto dal vivo. Ma non vedo nel mio futuro un rientro in Italia. Mai dire mai, certo, però preferirei che vengano loro qui per una vacanza quando sarà possibile. Li ringrazierò sempre per la fiducia che mi hanno concesso quando ho iniziato questa avventura, qui ho delle opportunità che in Italia difficilmente avrei potuto ottenere”.