Il report sul campionamento del 2016 e 2017 è diventato integralmente pubblico solo ora, grazie a una lunga battaglia legale di Greenpeace e l'associazione Mamme No Pfas. "Serve un nuovo monitoraggio, Zaia non può ignorare il rischio per la comunità locale, ma anche nazionale". In 8 anni mai un'iniziativa per ridurre le contaminazioni
La Regione Veneto ha tenuto segreti per quattro anni i dati sulla contaminazione alimentare dovuta alle sostanze perfluoroalchilidiche (più noti come Pfas) che inquinano da decenni la falda idrica nelle province di Vicenza, Padova e Verona. Dopo aver ottenuto ad aprile dal Tar la pubblicizzazione del “Piano di campionamento degli alimenti” effettuato nel 2016-17, che riguarda gli effetti del più vasto inquinamento di questa natura che si sia registrato in Veneto, il movimento Mamme No Pfas e Greenpeace hanno diffuso i risultati, che indicano la presenza diffusa e drammatica delle sostanze negli alimenti di origine vegetale e animale coltivati in zona rossa, l’area più contaminata. “Si tratta di dati georeferenziati e mai diffusi in forma integrale dalle autorità competenti che abbiamo ottenuto dopo una lunga battaglia legale nei confronti della Regione, che per anni ci ha negato l’accesso. Dalle elaborazioni emergono molte criticità: numerosi alimenti risultano infatti contaminati non solo per la presenza di Pfoa e Pfos, ma anche per tanti altri composti di più recente applicazione industriale”. La Regione si era opposta all’accesso agli atti nel luglio 2020 e si era ripetuta in ottobre, nonostante l’accoglimento del ricorso al Garante per la Difesa dei Diritti della persona e Difesa civica. C’è voluto il Tar per “accertare l’illegittimità” delle azioni della Regione.
L’inquinamento, come raccontato più volte da ilfattoquotidiano.it, è stato causato da sversamenti dell’industria Miteni di Trissino, per i quali nel luglio scorso – 8 anni dopo la scoperta dell’inquinamento della falda – è iniziato un processo. Gli imputati sono 15 (i vari proprietari della Miteni), le parti civili quasi 200: tra queste ministeri, Regione, Province, Comuni, associazioni ambientaliste e tanti cittadini privati. Tra i reati contestati avvelenamento delle acque, disastro doloso, inquinamento ambientale. Dal momento degli sversamenti, peraltro, nessuna istituzione ha preso alcuna iniziativa per limitare la contaminazione delle falde e quindi di riflesso sull’acqua usata in agricoltura e allevamento nelle tre Province venete.
Le analisi
Le analisi che finalmente sono diventate di dominio pubblico sono state effettuate su 1.248 alimenti (614 di origine vegetale e 634 di origine animale) da parte del laboratorio Arpav di Verona, del dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro (Padova). I dati sono stati forniti dalle Ulss di Vicenza, Padova e Verona. I risultati? “Sono state rinvenute altre molecole oltre a Pfoa e Pfos (le uniche due molecole oggetto dell’indagine resa pubblica dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2019), sia a catena lunga che a catena corta, ovvero i Pfas di più recente utilizzo”. Secondo Efsa, Agenzia europea per la sicurezza alimentare, l’assunzione settimanale tollerabile attraverso la dieta è pari a 4,4 ng/kg (nanogrammi per chilo) di peso corporeo per quattro molecole (Pfoa, Pfos, Pfna, Pfhxs), riducendo di più di quattro volte il limite precedentemente fissato nel 2018 per i soli Pfoa e Pfos (era di 19 ng/Kg). “Nonostante la forte revisione al ribasso dei parametri di sicurezza sia avvenuta da più di un anno – è scritto nel dossier – non è comprensibile, e tantomeno accettabile, che non sia seguita alcuna nuova valutazione né tantomeno un’azione concreta di tutela della popolazione e delle filiere agroalimentari e zootecniche da parte della Regione Veneto”.
Sono 26 gli alimenti risultati positivi con almeno una molecola di Pfas, per un totale di 204 campioni su 792 (i dati forniti sono inferiori a quelli del rapporto 2019 dell’Iss). I risultati più allarmanti, sotto il profilo della somma di Pfas, sono illustrati nella tabella a sinistra. Tanto per fare qualche esempio: dai 600 ai 3500 nanogrammi per chilo nelle albicocche, dai 100 ai 1300 nella lattuga, dagli 800 ai 2900 nell’uva da vino, dai 100 ai 37100 nelle uova di gallina.
Questi alcuni alimenti con la somma delle quattro molecole incluse nel parere Efsa per le quali una persona di 60 chili di peso può assumere, per rientrare nella soglia tollerabile, fino a un massimo di 264 ng di Pfas ogni settimana. Albicocche 0-770 ng/kg, mais 0-1.200, uva da vino 0-200, fegato vitello 100-3.000, fegato polli 100-1.300, fegato suini 100-31.800, fegato tacchino 100-500, carpe 1.090-17.720, uova anatre 3.000, uova galline 100-35.500. A titolo di esempio, consumando in una sola settimana mezzo chilo delle albicocche più contaminate si supererebbe il valore di tolleranza.
Attacco alla Regione
Greenpeace e Mamme No Pfas accusano l’amministrazione regionale. “Nonostante i valori allarmanti, dal 2017 la Regione Veneto non ha effettuato ulteriori monitoraggi né intrapreso azioni risolutive per azzerare l’inquinamento e ridurre, almeno progressivamente, la contaminazione delle acque non destinate all’uso potabile. Inoltre, per quanto è noto, risulta che la Regione ha finora ignorato il rischio per l’intera comunità nazionale e non solo, visto che alcuni di questi alimenti potrebbero essere venduti anche all’estero. Si tratta di mancanze intollerabili: chi è responsabile della salute pubblica ha il dovere di fare tutto il possibile per affrontare concretamente un problema sanitario così rilevante”.
I dati si riferiscono agli alimenti, in quanto nella “zona rossa” l’acqua inquinata viene utilizzata in agricoltura, per irrigare e dare da bere agli animali. E’ così che i Pfas passano dalla falda ai prodotti. “Nonostante nel 2020 l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare abbia ridotto di più di quattro volte il limite massimo tollerabile di Pfas che possono essere assunti attraverso la dieta, la Regione non ha effettuato nuove valutazioni, né messo in atto azioni concrete per tutelare la popolazione e le filiere agroalimentari e zootecniche”. Viene anche contestata la mancata estensione del monitoraggio nella zona arancione e nelle altre aree toccate dalla contaminazione, assieme alla mancanza di analisi su produzioni molto diffuse come spinaci e radicchio, kiwi, meloni, angurie, cereali, soia e mele.
L’appello
Aggiornamento
In una prima versione di questo articolo era stato indicato in 51 il numero di Comuni in zona rossa, nella quale sono stati campionati gli alimenti contaminati. Il dato corretto è 30. Resta valido peraltro tutto l’impianto dell’articolo.