Una scrofa confinata in gabbia e un suino di 170 chilogrammi che vive su una superficie di 1,1 metri quadrati potrebbero essere considerati come esempi di benessere animale, secondo il metodo di certificazione che sta per essere votato in Conferenza Stato-Regioni, nell’ambito del Sistema di qualità nazionale per il benessere animale istituito con il Decreto Rilancio. Lo denuncia una coalizione di organizzazioni ambientaliste, animaliste e dei consumatori (lanciando un twitterstorm con hashtag #BugieInEtichetta), che chiede vengano rivisti gli standard di certificazione a cui i ministeri delle Politiche Agricole e della Salute, insieme ad Accredia, l’ente nazionale di certificazione “hanno lavorato a porte chiuse durante gli ultimi due anni”.
Il nuovo sistema che prevede certificazione ed etichettatura di prodotti di origine animale che rispettano standard superiori ai requisiti di legge, secondo le associazioni (almeno per quanto riguarda i suini, a cui si è lavorato prevalentemente) tradisce la fiducia dei consumatori prima ancora di arrivare sul mercato. E tradisce anche l’idea di etichettatura presentata a maggio 2020 da Ciwf e Legambiente, contestualmente a una proposta di legge della deputata (oggi Facciamo Eco) Rossella Muroni. “Questa certificazione rappresenterebbe un’operazione di animal/greenwashing e metterebbe un bollino da ‘animali felici’ sugli stessi allevamenti intensivi che da decenni inquinano l’aria e l’acqua e rendono infernali le vite degli animali – spiegano a ilfattoquotidiano.it – garantendo priorità d’accesso a fondi Pac e Pnrr”.
L’APPELLO AI MINISTRI – Da qui la richiesta al ministro della Salute, Roberto Speranza e al ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli affinché non facciano “approdare al voto in Conferenza Stato-Regioni gli standard per la certificazione suinicola” presentati insieme alla bozza di Decreto. Non senza prima modificarli, spiegano le associazioni Animal Law, Animal Equality, Animalisti Italiani, Ciwf Italia Onlus, Enpa, Essere Animali, Federazione Pro Natura, Lav, Leidaa e Legambiente, Oipa, Lipu, The Good Lobby e Confconsumatori. Resta, infatti, l’esigenza di mettere ordine al sistema di certificazione dato il numero sempre crescente di etichette e claim sul ‘benessere animale’ create da allevatori e produttori per catturare fette di mercato, ma che spesso solo apparentemente rispondono alla sensibilità dei consumatori rispetto alle condizioni in cui sono allevati gli animali. Queste etichette, infatti, sono disomogenee nei significati e potenzialmente fuorvianti. Allo stesso claim ‘benessere animale’ possono corrispondere diversi standard e criteri, rendendo impossibile la scelta consapevole da parte dei consumatori. L’etichettatura, invece, “può rappresentare uno strumento fondamentale per veicolare corrette informazioni”, spiegano le associazioni.
UN PERCORSO “A PORTE CHIUSE” – Di fatto, Insieme ad Accredia, i due ministeri hanno avviato un progetto di classificazione degli allevamenti, tramite il sistema integrato ClassyFarm, uno strumento con adesione a base volontaria, messo a disposizione di medici veterinari e allevatori e finalizzato alla categorizzazione dell’allevamento in base al rischio. Il Sistema di qualità nazionale per il benessere animale è stato istituito con l’articolo 224 bis del Decreto Rilancio, a luglio 2021. “Ma negli ultimi due anni – scrivono le associazioni – è stata organizzata solo una breve presentazione dei progetti a febbraio 2021, senza condividere nessun documento e mostrando soltanto generiche slide”. A fine agosto, poi, lo schema di decreto è stato inviato ad alcune associazioni per una consultazione.
COSA PREVEDE (E COSA DOVREBBE PREVEDERE) IL NUOVO SISTEMA – Secondo queste ultime, però, la certificazione che sta per essere votata in Conferenza Stato-Regioni prevede di etichettare con il claim ‘benessere animale’ anche prodotti provenienti “da allevamenti con livelli di benessere molto bassi, che operano fuori dalla legalità” con un sistema che fornisce informazioni chiare e trasparenti. Il testo prevede due livelli produttivi per i suini, uno al coperto (poco migliorativo rispetto a quello previsto attualmente) e uno all’aperto. Un cambiamento radicale (che solo poche realtà potrebbero permettersi) dall’attuale mancanza di una legge a uno standard di 250 metri quadrati a suino. Secondo le associazioni, “per consentire una transizione verso migliori standard di benessere è necessario, invece, che ci siano più livelli”. Per questo chiedono quattro livelli totali: uno base, che rispetta gli standard di legge, due livelli al coperto e uno all’aperto con standard più alti di benessere.
SCROFE IN GABBIA E TAGLIO DELLA CODA AI SUINI – La certificazione per i suini, inoltre, tiene in considerazione solo gli ultimi mesi di vita degli animali e non l’intero arco di vita. Il benessere delle scrofe e dei suinetti, pertanto, non è considerato e anche prodotti provenienti da scrofe allevate in gabbia potranno essere etichettati con il claim ‘benessere animale’. La coalizione chiede che sia tenuto in considerazione l’intero arco di vita dei suini, dalla nascita al macello, compreso il trasporto, soprattutto la gestazione e il parto (così come da indirizzo del Consiglio Agrifish dell’Ue) e che venga indicato se le scrofe sono allevate in gabbia (in riferimento al livello base) in modo da tale da non consentire la certificazione di benessere animale. La maggior parte dei suini italiani, poi, subiscono il taglio della coda. Questa procedura, effettuata di routine, è illegale, eppure è ancora ampiamente praticata nel nostro Paese. La certificazione prevede, infatti, che allevamenti che hanno avviato trial di allevamento di suini con la coda lunga (e che quindi abbiano anche solo una piccola percentuale di animali allevati legalmente) possa ottenere la certificazione con una deroga di 12 mesi. Si chiede, invece, che la certificazione sia consentita solo per coloro che hanno animali con la coda lunga nell’intero allevamento e che la grafica dell’etichetta contenga tutti i livelli disponibili per ogni specie, in modo che il consumatore sappia dove si colloca, in termini di benessere animale, il prodotto che sta acquistando.
L’ACCESSO A FONDI PAC E PNRR – Nelle osservazioni firmate il 6 settembre scorso da Animal Law Italia, CIWF Italia Onlus, Essere Animali, Greenpeace, LAV, Legambiente, The Good Lobby, le associazioni hanno ricordato che “per lavorare nella direzione già segnata dall’Ue, è di vitale importanza non dimenticare l’Iniziativa dei Cittadini Europei con cui è stata chiesta la fine dell’uso delle gabbie, così come le raccomandazioni della Corte dei conti Ue sull’ultima Pac, che hanno segnalato come scorretta la destinazione dei fondi della Politica agricola comune ad allevatori suinicoli che operavano nell’illegalità, praticando il taglio routinario della coda. Lo schema di decreto prevede, invece, che chi ottiene la certificazione abbia accesso prioritario ai fondi della Politica Agricola Comune e del Pnrr. “Se i criteri della certificazione resteranno quelli previsti a oggi, si tradirà completamente la promessa che Pac e Pnrr siano utilizzati per stimolare un’agricoltura più sostenibile, nella direzione segnata dal Green Deal europeo e dalla Strategia Farm to Fork” dichiarano le associazioni, secondo cui “certificare come ‘benessere animale’ pratiche standard del tutto insufficienti, penalizza gli allevatori virtuosi che apportano miglioramenti e che non solo non saranno valorizzati presso il consumatore, ma non potranno neanche usufruire di nessun fondo dedicato”.