A fine agosto Matteo Salvini è sicuro, così sicuro da volerci mettere anche la firma: il reddito di cittadinanza va abolito. Lo ripete per tutta l’estate e il 28 agosto da Pinzolo annuncia: “In manovra economica l’emendamento per farlo lo metto io, avrà la mia prima firma. Dobbiamo assolutamente cancellare il reddito di cittadinanza”. Una posizione intransigente, che si affianca a quella dell’altro Matteo, Renzi, che nel frattempo il 2 settembre al Tg4 annuncia definitivamente il quesito del suo referendum abrogativo. La raccolta firme del leader di Italia Viva poi non è mai partita, nonostante la possibilità di raccoglierle online. Mentre Salvini? La sua posizione è magicamente sfumata, giorno dopo giorno, fino alla giravolta completa compiuta ieri sera, martedì 21 settembre, ospite a Porta a Porta su Rai1: “Firmerò io l’emendamento in legge di bilancio”, ribadisce il leader della Lega. Ma le parole abolire e cancellare sono scomparse. La posizione del Carroccio oggi è per “confermare questo sostegno a chi non può lavorare: disabili, invalidi, chi ha la moglie, il marito o il figlio a casa da curare 24 ore su 24. Non puoi lavorare? Non ti abbandono, ti aiuto, ti proteggo”. Un’inversione a U compiuta nel giro di tre settimane.
I ripensamenti di Salvini cominciano a inizio settembre. Ancora domenica 5 il leader della Lega da Cernobbio spara contro il sussidio, affiancato da Giorgia Meloni: “Il reddito di cittadinanza si è rivelato sbagliato – dice – proporrò un emendamento alla manovra per destinare alle imprese questi soldi”. Nel frattempo però qualcosa sta cambiando. Da qualche giorno la stampa nazionale non attacca più la misura voluta dal M5s e approvata dal governo Conte 1. Anche in questo caso, per tutta l’estata i media hanno martellato il reddito di cittadinanza, spesso “torturando” numeri e statistiche. Poi a settembre su quegli stessi giornali, dal Corriere della Sera a La Stampa, trovano improvvisamente spazio gli interventi di esperti che suggeriscono cambiamenti piuttosto che la cancellazione. Il 6 settembre Salvini incontra Giancarlo Giorgetti al consiglio federale della Lega. Il ministro dello Sviluppo economico non parla di abolizione, ma dice che “andrebbe trasformato in lavoro di cittadinanza“. E il leader capisce l’antifona, cominciando a cambiare la sua posizione: “L’ impegno è presentare, in sede di Bilancio, un emendamento a mia firma, in cui chiederemo di rivedere o cancellare il reddito di cittadinanza”. “Penso ad ammettere questa misura solo per quelli che non possono lavorare, ma per il resto dobbiamo cancellarlo”, specifica Salvini.
Il leader è in minoranza, un po’ come sulla questione green pass e vaccini: deve correggere il tiro e adattarsi alla linea filo-governativa, quella guidata da Giorgetti, che prende sempre più piede anche tra i governatori. D’altronde, già il 6 agosto il presidente del Consiglio Mario Draghi era stato chiaro: “Il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno”. Un mese dopo la posizione non è affatto cambiato, come chiarisce il 7 settembre il Corriere della Sera, che titola: “Draghi non tocca il reddito“. Si parla solo di eventuali cambiamenti, definiti correttivi o miglioramenti a seconda delle posizioni. Anche Renzi, dopo aver gettato il sasso, comincia a tirare indietro la mano: promuovendo il suo libro, ormai da luglio annunciava un referendum per abrogare il reddito di cittadinanza. Il 2 settembre presenta il quesito, l’8 settembre a L’Aria che tira su La7 già cambia versione: “Aver permesso di aprire la discussione sul reddito di cittadinanza ha portato al fatto che Draghi lo cambierà“. Falso, visto che il comitato per la valutazione del reddito di cittadinanza è attivo già dallo scorso marzo, mentre il libro di Renzi è uscito a luglio e il quesito del referendum è stato annunciato a settembre, quando Draghi aveva già chiarito che la misura sarebbe stata rivista, non cancellata. Renzi racconta di aver già ottenuto il suo obiettivo per non dire che ha rinunciato a raccogliere le firme. Tra l’altro, per votare tra il 15 aprile e il 15 giugno 2022, dovrebbe arrivare a quota 500mila entro il 30 settembre: se avesse voluto davvero raggiungere questo obiettivo – sfruttando anche la possibilità della firma digitale – la raccolta sarebbe già iniziata. Se invece dovesse partire nelle prossime settimane o mesi, sarebbe comunque impossibile votare prima del 2025, perché la legislatura scade a marzo 2023 e nell’anno precedente e nei sei mesi successivi non è possibile per legge depositare una richiesta di referendum.
Passa un’altra settimana e pure Salvini comincia a cambiare registro: “Rivediamo il reddito di cittadinanza e togliamolo ai furbetti che non hanno voglia di fare niente”, dice dal palco a Rosarno. La giravolta parte dalla Calabria, una regione del Sud, l’area dove si concentrano oltre 2 milioni di beneficiari. “Qual è la posizione della Lega? E’ fondamentale – sostiene il leader del partito – garantire e aiutare, come deve fare uno stato serio, chi non può lavorare e non ce la fa perché disabile, fragile o è arrivato ad una certa età e non può rientrare nel mondo del lavoro. Aiutare gli ultimi. Però regalare redditi a caso soprattutto a immigrati che non fanno un accidente dalla mattina alla sera non è possibile, non è giusto, non è morale”. Eccolo il nuovo mantra di Salvini: togliere il sussidio agli stranieri. Anche se di fatto è la categoria che ad oggi meno beneficia della misura, visto che uno dei paletti per accedere al reddito di cittadinanza prevede la residenza in Italia da almeno 10 anni. Non a caso è uno dei correttivi suggeriti dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: “Aumentare la cifra che va alle famiglie numerose e ridurre i paletti per gli immigrati”.
Dalla Calabria Salvini si sposta in Veneto: il 19 settembre è a Bovolone, ma il (nuovo) ritornello non cambia. “Garantire un’integrazione al reddito per chi non può lavorare, per gli anziani, per i disabili, per quelli che hanno la schiena rotta è sacrosanto“, dice il leader della Lega. Tra l’altro, “chi non può lavorare” rappresenta praticamente i due terzi dei beneficiari del reddito. Circa 900mila beneficiari sono infatti minorenni, mentre altri 135mila nuclei familiari percepiscono la pensione di cittadinanza. I soggetti al patto per il Lavoro, stando all’ultimo report Anpal di luglio, sono circa un milione di persone su oltre tre milioni di beneficiari. Salvini nel Veronese non vuole colpire solo gli stranieri ma anche “le centinaia di migliaia di persone che lo prendono senza meritarlo“. Quindi bisogna togliere il reddito “a tutti quelli che non hanno voglia di lavorare“. Una categoria quanto meno indefinita, ammesso che esista: è la “teoria del divano”, che a sua volta non ha mai trovato riscontro nei dati Istat.
Inoltre, man mano che passano i giorni Salvini allunga invece la lista delle persone che devono beneficiare del reddito di cittadinanza: nella puntata di Porta a Porta di martedì sera, a “chi non può lavorare”, ai pensionati e ai disabili si sono aggiunti anche i caregiver. Alla fine, la certezza è che il referendum di Renzi è sparito dai radar e pure Salvini non vuole più abolire il reddito. Ancora prometto un emendamento alla legge di bilancio a sua firma, ma il ministero del Lavoro è già da tempo impegnato a definire i miglioramenti al reddito: la proposta potrebbe finire presto sul tavolo del governo e viaggiare separata rispetto alla manovra. I correttivi, peraltro, riguardano principalmente la modifica della scala di equivalenza per evitare di penalizzare le famiglie numerose e la revisione del peso dell’affitto sul sussidio a seconda del territorio di residenza. Ma Draghi proprio martedì ha ribadito, questa volta mettendolo anche nero su bianco nella sua risposta a uno studente, che il reddito di cittadinanza non si tocca, “è ispirato a valori costituzionali, come l’eguaglianza e la solidarietà politica, economica e sociale”. I limiti ci sono, “soprattutto per quanto riguarda le politiche attive del lavoro”. Su questo sì, il governo vuole intervenire.
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