Per la Confederazione europea dei sindacati, le persone che dovranno trascorrere l'inverno al freddo nelle loro case sono 2,7 milioni: il 15% di tutti coloro che percepiscono uno stipendio inferiore alla soglia di povertà. Nella Penisola la quota sale al 26%, la sesta più alta tra i Paesi Ue
Quasi tre milioni di persone non possono permettersi il riscaldamento in casa. E la causa sono i salari troppo bassi. È la fotografia del mercato del lavoro in Europa scattata dalla Confederazione europea dei sindacati nel suo ultimo studio sui cosiddetti lavoratori poveri, cioè tutti coloro che pur lavorando percepiscono un reddito inferiore alla soglia di povertà. Un calcolo, svolto a partire dai dati Ue, da cui emerge anche come l’Italia sia tra i Paesi dell’Unione dove il fenomeno è più rilevante in misura percentuale.
“Il primo giorno d’autunno e con l’arrivo dell’inverno, il 15% dei poor workers in Europa non sarà in grado di accendere il riscaldamento: un totale di oltre 2,7 milioni di persone“, afferma la nota prodotta dell’organizzazione per la tutela del lavoro a livello comunitario. Il tutto ovviamente al netto degli aumenti delle bollette in arrivo in tutti i Paesi Ue nei prossimi mesi. “Nell’ultimo decennio la situazione è peggiorata in dieci Stati membri e ora l’aumento dei prezzi dell’elettricità rischia di far dilagare sempre di più la povertà energetica”. Rientra nel novero proprio l’Italia, in cui la quota di individui condannati al freddo tra chi percepisce uno stipendio inferiore alla fascia 550-820 euro tocca il 26,1%: si tratta di circa 375 mila lavoratori, stando all’ultimo rapporto Ugl-Censis presentato l’1 maggio 2021. Davanti al nostro Paese solo altre 5 nazioni: la Grecia, con il 28,7%; il Portogallo, con il 30,6%; la Lituania, con il 34,5%; la Bulgaria, con il 42,8%; Cipro con il 45,6%.
Un record negativo che la Penisola conferma anche su orizzonti temporali più lunghi: siamo infatti tra i Paesi che ha registrato il più alto aumento percentuale di lavoratori poveri senza accesso al riscaldamento dal 2009. L’incremento è stato pari, nello specifico, al 5,2%, contro il 6% della Spagna, il 7,8% della Slovacchia, il 7,9% della Lituania, il 10% di Cipro, il 16,6% della Croazia.