È stato il pm Salvatore Colella ad avanzare la richiesta di pena nei suoi confronti e di altri 17 imputati. Tra questi compaiono i nomi di Pietro Quinto, ex direttore generale dell’Asl per il quale l’accusa ha chiesto 4 anni e 6 mesi, e due ex direttrici amministrative per le quali ha avanzato una richiesta di condanna rispettivamente a 6 anni e 6 mesi e 3 anni di carcere. La sentenza è attesa per il 17 novembre
Rischia una condanna a 3 anni di carcere Marcello Pittella, ex governatore della Basilicata e attuale consigliere regionale finito a processo per i presunti concorsi truccati nell’Azienda sanitaria di Matera. È stato il pubblico ministero Salvatore Colella ad avanzare la richiesta di pena nei suoi confronti e di altri 17 imputati. Tra questi compaiono i nomi di Pietro Quinto, ex direttore generale dell’Asl materana per il quale l’accusa ha chiesto la condanna a 4 anni e 6 mesi, e due ex direttrici amministrative, Maria Benedetto e Maddalena Berardi, per le quali il pm Colella ha avanzato una richiesta di condanna rispettivamente a 6 anni e 6 mesi e 3 anni di carcere. La procura ha infine chiesto una sola assoluzione: si tratta di Giovanni Bochicchio, all’epoca dei fatti direttore del Crob di Rionero, assistito dall’avvocato Dino Donnoli, che rispondeva esclusivamente di abuso d’ufficio. La sentenza è attesa per il 17 novembre.
Le indagini hanno svelato – secondo l’ipotesi accusatoria – come sulla base di segnalazioni di politica e autorità religiose venivano manipolati gli esiti dei concorsi banditi dalla sanità lucana. A luglio 2018 per Quinto e Benedetto si erano aperte le porte del carcere. Altre 20 persone invece, tra cui lo stesso Pittella, finirono agli arresti domiciliari (la Cassazione annullò poi con rinvio l’ordinanza per quanto riguardava l’allora governatore). Nella sua ordinanza di custodia cautelare il gip Angela Rosa Nettis scrisse che indagati agivano “nella consapevolezza di uno scambio di reciproci favori dimenticando di essere investiti di una pubblica funzione, interessati unicamente alla realizzazione del proprio tornaconto ed ingenerando anche nei soggetti privati che a vario titolo vengono in rapporto con loro la convinzione che il potere pubblico implichi prevaricazione ed abuso, privilegio e guarentigie e sottrazione ad ogni regola di correttezza”.
A Pittella era riconosciuto il ruolo di “deus ex machina”: nelle carte si legge che “nulla si muove senza i suoi diktat, senza il suo ‘suggello’”. Il governatore, infatti, secondo l’accusa, “detta le sue regole partitocratiche, trasmette i suoi elenchi, le sue liste ‘verdi’”. Nella lista dei raccomandati, infatti, i nominativi che secondo gli investigatori erano stati segnalati dall’allora presidente della Regione lucana erano evidenziati in verde: nessuno di loro, stando a quanto si legge negli atti, avrebbero superato le prove e la direttrice amministrativa Benedetto, ignara di essere intercettata dai finanzieri, si sfoga “nessuno dei verdi… come cazzo dobbiamo fare?”. Ma non è il suo unico sfogo.
È soprattutto quel 9 maggio 2017 a fornire agli inquirenti una prova cruciale del sistema. “Tutti i raccomandati – svela alla sua segretaria – hanno fatto tutti schifo, guarda è una, è vomitevole ma dimmi tu come faccio io? Come cazzo faccio… vescovi, pur i vescovi, che dice che ‘u’ vescovo’” ricevendo conforto dalla sua interlocutrice “e so i primi che … qua è una lotta!”. Qualche minuto dopo, pensando ai concorrenti senza raccomandazione alla donna viene in mente che quelle ingiustizie potevano un giorno essere subite da sua figlia. “Se capita a mia figlia? Che pur essendo più brava di… non può andare avanti… e allora mi sento un verme… dico mi sa che faccio parte anche io di questo sistema”.
In quel 2017, ad aggravare la situazione per Pittella c’era la volontà di ricandidarsi alla guida della Regione: “Il pericolo di reiterazione – scrive il gip – è quantomai attuale e concreto, sol se si consideri che Pittella negli ultimi giorni ha manifestato la volontà di ricandidarsi come governatore della Basilicata e ciò fa ritenere che continuerà a garantire i suoi favori ed imporre i suoi ‘placet’ ai suoi accoliti pur di consolidare il suo bacino clientelare, potendo contare su appoggi locali, in uno scambio di utilità vicendevoli”. Fu questa la motivazione per la quale il giudice optò per gli arresti domiciliari. Pittella, tuttavia, non si dimise immediatamente: abbandonò l’incarico solo a distanza di sei mesi, a gennaio 2018. Oggi, a distanza di tre anni dalle sue dimissioni, intanto, il processo di primo grado è ormai alle battute finali.