Per carità, sarà un’inpopular opinion, ma l’obbligo di green pass per partecipare ai lavori di Camera e Senato mi lascia un po’ perplesso, e vi spiego subito perché.
Quando in aula si illustra ai ragazzi il senso dell’immunità parlamentare (“nessun membro del Parlamento può essere arrestato o privato della libertà personale” eccetera eccetera), c’è sempre una premessa necessaria: non si tratta di un privilegio per chi sta dentro; si tratta, invece, di una garanzia per tutti quelli che stanno fuori. Perché impedire a un parlamentare di recarsi in aula a dibattere e a votare significa sempre impedire a un certo numero di elettori – uguali a tutti gli altri elettori – di essere rappresentato.
Ora, nulla vieta di cancellare quest’immunità, con una revisione costituzionale. In nome di uno sguaiato “non sono diversi da noi” si può pure fare, per carità; ma poi, quello che ne esce compromesso e ferito, in realtà, è la rappresentanza democratica dei cittadini. (Di quei cittadini che hanno dato il voto al parlamentare cui è impedito l’accesso in aula – o almeno alla sua lista, in un sistema di liste bloccate. Ma in fondo di tutti i cittadini, perché i parlamentari rappresentano la nazione, non solo i propri elettori. Art. 67 Cost.)
Per venire al nostro tema, dunque: in nome di un “non sono diversi da noi”, possiamo pure impedire a deputati e senatori senza green pass di entrare in aula (o sanzionarli se vi entrano senza: cambia poco). Ma chi ne esce danneggiato sono (anche) gli elettori, o almeno parte di essi. E se l’opinione no green pass e addirittura quella no vax restano opinioni discutibilissime nel merito, ma pur sempre legittime (e lo restano: non pare siano state messe al bando da nessuna fonte del diritto), non si vede perché non dovrebbero essere rappresentate nel dibattito parlamentare (o perché la loro rappresentanza dovrebbe essere pagata a costo di una sanzione). Dove, ricordiamolo, può essere legittimamente rappresentata ogni opinione: in teoria anche quella monarchica, sebbene tornare alla monarchia sia costituzionalmente impossibile.
Né convince fino in fondo l’obiezione secondo la quale l’obbligo di green pass sia funzionale in realtà proprio a “salvare” la rappresentanza parlamentare, evitando che contagi in aula rischino di paralizzare il funzionamento generale delle Camere. Non convince perché la misura comunque non sembra superare il test di proporzionalità. (1) Il sacrificio imposto (almeno potenzialmente) dall’obbligo di Green Pass al bene ‘rappresentanza’ è infatti piuttosto pesante, e (2) non è detto che tale obbligo sia lo strumento per preservare il funzionamento ordinario dei lavori parlamentari che imponga il minor sacrificio possibile. D’altra parte, a dirla tutta, (3) tale obbligo non garantisce di per sé la certa eliminazione del rischio.
Certo, si potrà obiettare che il Parlamento resta sovrano in casa sua: sarà pur libero di far accedere e non accedere chi vuole, o no? Vero, ma con alcune precisazioni. Il Parlamento può ad esempio dichiarare decaduto un parlamentare; ma in questo caso, a questo subentra il primo dei non eletti, se non si va addirittura a elezioni suppletive – e così nessuno resta senza rappresentante. Certo, poi c’è il caso del parlamentare per il quale la Camera autorizza una misura restrittiva della libertà personale richiesta da un giudice, ma qui c’è almeno il fumus della commissione di un illecito – e non avere il green pass, almeno finora, illecito non è. Insomma, sono cose un po’ diverse. Il Parlamento è certo padrone in casa sua, ma non fino a ostruire le logiche della rappresentanza democratica.
Il fatto è che non è vero che “non sono diversi da noi”. Lo sono, eccome. Lo sono, perché io non sono stato votato, non sono stato eletto. Il che significa che non ho ricevuto da un certo numero di elettori – pochi o molti, belli o brutti, buoni o cattivi, ma sempre tutti uguali agli altri – un mandato a rappresentarli in Parlamento. Un parlamentare non è “diverso da noi” quando fa tutto il resto – e infatti al cinema, al ristorante, o sul treno, gli chiederemo il Green Pass, ci mancherebbe; né sarebbe “diverso da noi” davanti a un generalizzato obbligo vaccinale (che, invero, quando e se la classe politica troverà la responsabilità di adottare, tirerebbe fuori da diversi cul-de-sac); ma altro è quando è in aula a rappresentarci. E per carità: che questa storia della rappresentanza sia in crisi, è cosa nota da anni, ormai. Se non altro è in profonda, profondissima, crisi nella percezione generale: tanto che qualcuno ora ne starà sorridendo, a sentirla invocata. Figuriamoci, quindi, se poteva resistere nella confusione di questi mesi.
Il problema sarà che cosa ci ritroveremo dopo, quando l’incubo sarà finito.